Ma Abercrombie & Fitch è ancora cool? Vedremo ancora spesso la fila di giovani (e meno giovani) in attesa di farsi fotografare davanti ai negozi? La domanda è lecita vista la diffusione di due iniziative sviluppate in polemica con il noto brand americano nella seconda metà dello scorso maggio. In primo luogo ha avuto una certa risonanza l’iniziativa anti-Abercrombie di Greg Karber, uno scrittore e video maker californiano. La sua idea, ripresa da numerosi blog e finita anche sulle pagine di Vogue, era quella di donare capi Abercrombie & Fitch agli homeless, invitando tutti a fare altrettanto, per protestare contro il fatto che l’azienda da un lato non produce tutte le taglie di felpe e magliette in modo che queste non possano essere indossate da persone troppo sovrappeso in relazione all’ideale estetico proposto nella comunicazione dall’azienda, e dall’altro preferisce bruciare i capi invenduti piuttosto che farli indossare a persone indigenti e di aspetto poco curato.
Circa una settimana dopo questa campagna, denominata #FitchTheHomeless e sintetizzata in un video visto in pochi giorni da diversi milioni di persone, si sono diffuse in rete le foto dell’iniziativa Attractive & Fat (un nome che ironicamente riecheggia, anche nella scelta del lettering, Abercrombie & Fitch), una serie di video e immagini in perfetto “stile Abercrombie” ma interpretati da una ragazza più che florida. Il risultato è che la pagina Facebook dell’azienda, vetrina per oltre sette milioni e mezzo di fan, è ora uno dei luoghi di espressione prediletti da chi combatte il sizeism e in generale la discriminazione basata su caratteristiche fisiche.
Questi episodi offrono lo spunto per due riflessioni; in primo luogo, come ha scritto anche Tommaso Buonumori nel suo blog www.buonmarketing.com, sembra che il top management di Abercrombie & Fitch viva con l’illusione che per essere cool sia importante soprattutto essere magri e palestrati. In realtà, è probabile che il vero ragazzo cool oggi sia quello che magari trascura la palestra perché aiuta gli amici e dedica del tempo al volontariato, come ha sostenuto Armando Garosci in occasione del convegno sul futuro del retail organizzato due settimane fa da ER e Fondazione CUOA. La sensibilità per i valori e per la responsabilità sociale, degli individui come delle imprese, è infatti oggi indubbiamente maggiore che solo un paio di lustri fa.
La seconda riflessione ha invece a che fare con i lati oscuri della rete, strumento potente per creare ma anche per distruggere la reputazione di un brand. L’elemento scatenante di queste polemiche pare sia stata infatti un’intervista di Mike Jeffries, il Ceo dell’azienda, rilasciata nell’ormai lontano 2006. In un libro uscito proprio in quell’anno “Vincere le sfide del retail management”, citavamo in effetti un’intervista rilasciata alla rivista Time l’anno prima nel quale Jeffries ribadiva concetti per molti versi analoghi. Su questo come su molti altri temi però la sensibilità delle persone cambia e ciò che sette o otto anni fa veniva visto prevalentemente come una sana provocazione per definire in modo chiaro il proprio posizionamento, oggi viene considerato da molti inappropriato e offensivo. Il problema è che la rete ci restituisce inesorabilmente questi frammenti delle nostre riflessioni passate e ha poi il potere di amplificarli e diffonderli anche al di là del nostro controllo. Una sfida in più per i marketing manager di oggi.
Altra azione viral con Abercrombie&fitch come protagonista/antagonista.
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Iniziative anti abercrombie, come quella di Greg Karber, avallata da chi combatte il sizeism ed in generale la discriminazione basata su caratteristiche fisiche, richiamano una delle più celebri favole attribuite a Esopo: “la volpe e l’uva”.
Nonostante rientri negli standard citati da Armando Garosci, cioè in quei ragazzi che trascurano la palestra per aiutare gli amici e fare volontariato, credo fortemente che l’iniziativa intrapresa da Greg Karber abbia aumentato il brand equity di abercrombie, in quanto il ragazzo <> era, è e sarà lo standard cool da seguire sia per Il fattore estetico, che per quello salutare; qualora inoltre riuscissimo ad associare l’intelligenza a tale standard, il valore del brand abercrombie accrescerebbe maggiormente.
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Iniziative anti abercrombie, come quella di Greg Karber, avallata da chi combatte il sizeism ed in generale la discriminazione basata su caratteristiche fisiche, richiamano una delle più celebri favole attribuite a Esopo: “la volpe e l’uva”.
Nonostante rientri negli standard citati da Armando Garosci, cioè in quei ragazzi che trascurano la palestra per aiutare gli amici e fare volontariato, credo fortemente che l’iniziativa intrapresa da Greg Karber abbia aumentato il brand equity di abercrombie, in quanto il ragazzo <> era, è e sarà lo standard cool da seguire sia per Il fattore estetico, che per quello salutare; qualora inoltre riuscissimo ad associare l’intelligenza a tale standard, il valore del brand abercrombie accrescerebbe maggiormente.
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[…] sulla quinta strada a New York. Avevo già scritto qualche anno fa un post (che potete ritrovare qui) che cercava di analizzare alcuni dei problemi dell’azienda e il mio ultimo retail tour americano […]
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[…] esattamente otto anni fa ho scritto l’articolo su Abercombie & Fitch che potete rileggere qui, ero in cuor mio contento di aver venduto le azioni del gruppo da qualche anno e non avrei […]
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[…] spesso, sia ai tempi del successo clamoroso, sia a quelli dell’altrettanto clamoroso tonfo (qui un pezzo di nove anni fa dedicato proprio a questo) che, infine, nell’interessante percorso di ricostruzione del brand che […]
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