Una bara nel carrello

Andare a comprare la carne per la grigliata e trovare al supermercato una bara d’occasione? Anche questa è una delle sorprese possibili facendo shopping da Costco. Uno dei segreti (anche se certo non il solo) del successo di questo retailer, uno dei dieci più grandi del mondo visto che nel bilancio chiuso al primo settembre ha superato per la prima volta dopo trenta anni di attività la soglia dei cento miliardi di dollari di fatturato, è una gestione dell’assortimento molto originale.

Bisogna innanzitutto considerare che il tipico negozio Costco misura più di 13.000 metri quadri e ha vendite per 155 milioni di dollari, anche se un centinaio di punti vendita superano i 200 milioni e una decina addirittura i 300. Tutto questo con un numero di SKU per punto vendita che oscilla tra i 3.300 e i 3.800, molti meno di quelli di un medio supermercato cittadino!

Ma di che referenze si tratta? In primo luogo ci sono beni food  (anche freschi) e non food di acquisto quotidiano sui quali l’azienda ha compiuto una scelta drastica: pochissime referenze di pochissime marche con l’obiettivo di massimizzare sia le rotazioni che il potere contrattuale con i fornitori. Nella corsia del dentifricio, ad esempio, l’assortimento tipico è costituito da 6/7 SKU e le uniche marche presenti sono Colgate e la private label. Accanto a questo assortimento stabile c’è poi un assortimento variabile di un numero limitato di prodotti (tipicamente del non food) gestiti con la logica dell’acquisto opportunistico tipico del retailer off-price; tra la frutta e i dentifrici si può così trovare ad esempio un giorno un maglione di Calvin Klein a 22,90 dollari e la settimana dopo un cappotto di Donna Karan a 29. Il ruolo di questa parte dell’assortimento è in parte quello di aumentare lo scontrino medio ma in parte anche quella di aumentare la frequenza di visita dei consumatori solleticati dalla prospettiva di una “caccia al tesoro”.

Il modello funziona: lo dicono i numeri di fatturato e margini in crescita e la circostanza che 37 milioni di famiglie pagano ogni anno una tessera da 55 dollari  per poter entrare da Costco a fare la spesa, con un tasso di rinnovo delle membership nell’ordine del 90%.

E’ un modello replicabile nel contesto italiano?

costco

5 pensieri riguardo “Una bara nel carrello

  1. Dal punto di vista teorico il modello Costco potrebbe riscuotere un buon successo anche in Italia (ovviamente tra un target medio/alto), infatti a tutti piace risparmiare, soprattutto se puoi farlo senza rinunciare alla marca; basti pensare alle migliaia di persone in coda davanti ai negozi Coin nel novembre 2011 per riuscire ad accaparrarsi un piumino Napapijri a soli 10 euro.
    Anche nell’agroalimentare il rapporto qualità-prezzo è fondamentale, ad esempio ad Abano Terme molte persone fanno la spesa all’Aliper (supermercato di fascia medio/alta), ma frutta e verdura la comprano al Maxifrutta, che offre prezzi molto più competitivi. Dal punto di vista pratico però non so quanto il modello sia applicabile, poichè la mentalità italiana è molto diversa da quella americana. Loro tendono a pensare in “grande”…grande casa, grande auto, grande autostrada e anche grande spesa, ma in Italia lo spazio per la dispensa nelle abitazioni è piuttosto ridotto, anche se il reddito è medio/alto; infatti negozi come Metro e Cash&Carry sono comodi soprattutto se hai la partita iva e una famiglia numerosa.

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  2. Il consumatore italiano ha abitudini diverse da quelle del consumatore americano. Almeno secondo l’indagine Nielsen “Inflaction impact survey” infatti, in Italia si va a fare la spesa più spesso per avere cibo fresco, ma si compra di meno, il che è l’esatto opposto del comportamento richiesto da Costco. L’attenzione al prezzo però è comune. Sempre la stessa ricerca sottolinea come gli italiani vadano a caccia di offerta e promozioni, ma sono comunque disposti a spendere qualcosa in più in caso di novità. Quest’ultime intese come un’offerta di un maggiore valore aggiunto percepito e tangibile per un consumatore sempre più informato. Vedi allora l’efficacia di azioni come il “mettere la faccia”.
    Non dobbiamo inoltre dimenticare che la struttura distributiva italiana è ancora diversa da quella degli States. Nonostante i numerosi passi avanti fatti nel campo della grande distribuzione, anche grazie ad un lento processo di deregolamentazione normativa, sopravvivono (anche se faticosamente) i piccoli negozi. Contrariamente a quanto si può pensare, però, anche loro possono riuscire a mettere in atto strategie di abbattimento dei costi. Come? In maniera molto originale. Ne sono un esempio lampante due realtà attive proprio a Padova. Si tratta de Le Petit Grimaud – L’Ape Boutique e de Mami gelato al volo. La prima è una buoutique a bordo di un’ape “ristrutturata” ad hoc che sosta per poche ore tra i vicoli della città, le piazze o vicino ad uffici per vendere vestiti ed accessori malva, grigio, violetto.. un pezzo di Provenza senza muoversi da casa. Ogni sera sulla pagina facebook vengono indicate le tappe del giorno successivo (https://www.facebook.com/LePetitGrimaudLApeBoutique ). La Mami Car invece, è un carrettino attrezzato che vende in tutta la città gelato artigianale di alta qualità prodotto in un laboratorio fisso in una zona decentrata (http://www.mamigelatoalvolo.it/ ). Un ritorno alle strutture itineranti, quindi, per abbattere i costi fissi e riuscire a mantenere i prezzi bassi senza intaccare qualità e marginalità.

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  3. A mio avviso questo modello non è assolutamente replicabile in Italia, al giorno d’oggi: le caratteristiche principali dell’offerta di CostCo quali poche referenze, spese di grandi dimensioni (come evidenziano la grandezza dei carrelli e delle confezioni) e sottoscrizione di un abbonamento per poter entrare all’interno di un punto vendita, sono incompatibili con le abitudini del tipico acquirente italiano. Come già accennato, in Italia, il consumatore tende a rivolgersi ai supermercati per fare la spesa con una frequenza piuttosto alta, e con quantità di acquisto invece ridotte. A testimonianza di quanto detto si può osservare una precisa scelta strategica dei distributori per favorire i bisogni di tali consumatori: difatti si vedono sempre più spesso le casse automatiche, installate con lo scopo di agevolare l’acquisto a coloro che effettuano una spesa di dimensioni molto ridotte, evitando agli stessi di dover passare attraverso la piu affollata cassa tradizionale. Sarebbe inoltre difficile convincere a sottoscrivere un abbonamento annuale e a pagamento, un consumatore estremamente attento all’ offerta in termini di risparmio, abituato ad entrare gratuitamente nel punto vendita e a scegliere tra un offerta piuttosto ampia il prodotto più conveniente ed adatto alle sue esigenze. Un elemento interessante potrebbe essere quello dell’inserimento di prodotti non food seguendo la logica dell’outlet, poiché lo stesso consumatore attento all’offerta, potrebbe trovarsi interessato a questo tipo di prodotto, anche se trovo che anche questa caratteristica andrebbe a stravolgere le abitudini, ormai abbastanza consolidate, dell’acquirente italiano.

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  4. Penso che questo modello sia assolutamente replicabile in Italia, pur essendo controcorrente rispetto alle nostre abitudini di spesa! Gli esempi di multinazionali che hanno cambiato il modo di vivere degli italiani (anche in altri contesti) sono veramente tanti, in primis McDonald’s! Chi avrebbe detto negli anni ’80 che un’azienda produttrice di cibo spazzatura, professante la filosofia del fast-food, potesse in qualche modo attecchire in Italia, il paese del “mangiar bene”, il paese della pizza, il paese dove cena e pranzo sono tutto fuorché “fast”.. Io penso nessuno, o almeno era prevedibile solo da chi avesse pensato all’evolversi della società italiana, la quale di lì a breve avrebbe percorso un sentiero di “americanizzazione” (non ancora concluso). Tornando a Costco, perché un modello che garantisce un risparmio assicurato, senza perderci in qualità e livello di brand (a cui il consumatore italiano si aggrappa ancora), non dovrebbe funzionare? La scarsità delle referenze non penso possa essere un valido deterrente. L’unico problema semmai sarebbe l’assetto distributivo italiano, ricco di vari distributori (con una rete molto capillare). In un contesto del genere un distributore potrebbe utilizzare la leva principe di Costco? (maggiore potere contrattuale verso i fornitori, che pur di essere presenti sugli scaffali riducono notevolmente il costo) Questa è una bella domanda, ma se ci fosse già una risposta, e questa fosse sì, probabilmente già oggi vedremmo il primo negozio Costco in Italia.

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  5. Penso che il modello Costco sia assolutamente replicabile in Italia. Il comportamento d’acquisto del consumatore (compreso quello italiano) è in continuo cambiamento, il periodo di crisi che sta affrontando il nostro paese e la crescente ricerca del risparmio potrebbero supportare catene distributive all’ ingrosso a basso costo. Ma Costco non è solo risparmio ma anche scoperta, i prodotti non food di marca a prezzi scontatissimi, attirerebbero sicuramente anche il consumatore italiano ,affezionato alla marca ma anche attento alla convenienza.
    Qualche tempo fa è stata annunciata l’intenzione di portare il modello in Europa e tra i paesi selezionati appare proprio l’Italia. A rafforzare l’ipotesi di espansione ci sono inoltre i risultati positivi dell’insegna. James Murphy, international executive vice president, ha dichiarato: “Siamo, com’è ovvio, interessati ad investire nei quattro paesi: Germania, Italia, Francia e Spagna. L’azienda deve ancora decidere quale paese sarà il primo, ma intanto per cominciare apriremo un deposito nell’area entro i prossimi due anni”.

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