Tear down the wall! Formiamo i nuovi manager della moda

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Che tipo di manager serve alle aziende della moda oggi? E che tipo di percorso è necessario per formare questi manager? L’evoluzione degli stilisti, che erano essenzialmente dei creativi puri, verso ruoli a contenuto manageriale riconducibili alla figura del direttore creativo ha evidenziato l’esigenza di abbattere i muri, culturali ancora più che organizzativi, che spesso in azienda dividono i designer dagli uomini di marketing e dai commerciali. I nuovi manager della moda, così come chi coordina gli uffici stile delle aziende del settore, devono essere sempre più in grado di parlare entrambi i linguaggi: quello essenzialmente artistico del design e quello economico aziendale del management. Si avverte quindi sempre di più la necessità (peraltro da sempre presente) di bilanciare e mixare le competenze manageriali con quelle di prodotto.

Come sta rispondendo a queste esigenze il sistema formativo universitario italiano? Per quanto le cose si stiano muovendo possiamo dire che le risposte sono ancora di tipo tradizionale: i dipartimenti di design si occupano di prodotto e i dipartimenti di management si occupano di mercati e di numeri e le interazioni tra i due mondi sono ancora troppo limitate.

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Su questo versante il corso di laurea in Design della Moda dell’Università IUAV di Venezia e il corso di laurea in Economia e Direzione Aziendale dell’Università di Padova hanno voluto lanciare un segnale la scorsa settimana aderendo a una proposta del Museo della Calzatura Rossimoda (azienda del gruppo LVMH), anche grazie al supporto dell’Associazione Amici dell’Università di Padova. Dopo aver aiutato gli studenti a riflettere sulle caratteristiche dei diversi prodotti e brand durante una visita guidata alle collezioni esposte, Federica Rossi, curatrice del museo, con il supporto di Alessandra Arezzi Boza, curatrice dell’Archivio  Fondazione Pucci, hanno così coinvolto gli studenti dei due corsi in un lavoro di editing di alcune voci di Wikipedia legate al mondo della moda nell’ambito delle attività di Europeana Fashion Project e Wikimedia Italia. La provocazione didattica dell’esercizio consisteva nel comporre team di lavoro che mescolavano al loro interno studenti di management e studenti di fashion design. Un tentativo di abbattere il muro che nella formazione universitaria separa marketing e fashion design, un riuscito esercizio di contaminazione di linguaggi e di approcci. È questa la strada da seguire per formare i nuovi manager della moda?

Aggiornamento 2015: che si tratti di un’iniziativa interessante lo pensa anche la American Alliance of Museums che ha inserito questo esperimento didattico tra i Muse Award Winners

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10 pensieri riguardo “Tear down the wall! Formiamo i nuovi manager della moda

  1. Avendo partecipato all’iniziativa, ci sono due punti che mi sono apparsi interessanti non appena concluso il lavoro (un fashion designer non avrebbe mai cominciando con un elenco puntato):
    1. Gli amici dello IUAV sono passati da essere indicati come i “tipi strani che si vestono in modo particolare” a “colleghi che hanno delle scadenze, degli esami e dei lavori da consegnare (proprio come noi)”.
    Riuscire a parlare con loro nel clima creatosi attraverso il lavoro in team è stato più facile di quanto si potesse prevedere all’inizio.
    2. I tempi, l’approccio al lavoro e la capacità di attenzione dei due gruppi era molto diversa e solo grazie a un “realizzatore” all’interno del gruppo siamo riusciti a portare a termine il lavoro. i contributi più interessanti sono però arrivati dalla parte più creativa del gruppo.

    E’ riuscita una “contaminazione” profonda anche grazie al fatto che tutti volessimo scambiarci informazioni per imparare qualcosa: le soft skills, quindi, hanno avuto un ruolo fondamentale per il successo dell’iniziativa, e l’ importanza di queste competenze è testimoniata dall’attenzione che nel processo di selezione viene riservata loro in sede di colloquio (sopratutto per i giovani alle prime esperienze).
    Un ultima riflessione riguarda il sistema universitario italiano, forse troppo poco “pratico” per quel che riguarda alcuni insegnamenti: i nostri amici dello IUAV dovevano creare una collezione per la fine del mese. Quella settimana stavano costruendo una scarpa.

    Noi, ad economia, forse abbiamo “costruito” poco, anche se i progetti da portare avanti in questo ultimo anno sono orientati proprio alla parte pratica del lavoro. Come abbiamo imparato dalla presentazione di Wrangler, c’è una continua battaglia in corso tra le varie risorse, l’importante è non perdere mai di vista l’obiettivo generale e cercare il successo complessivo dell’azienda.

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  2. Credo che sia decisamente questa la strada da seguire! Un manager che lavora nel settore moda deve sviluppare know-how e capacità produttive che siano coerenti con le dinamiche del consumo e che al contempo seguano le evoluzioni della creatività, rispondendo rapidamente alle esigenze del cliente. Ho vissuto personalmente l’esperienza del workshop ed è stato interessate e curioso vedere la diversa metodologia e approccio utilizzato dagli “economisti” e i designer della moda nel svolgere l’incarico assegnatoci. I ragazzi di economia, legati alla praticità e al problem solving si sono adoperati per poter svolgere il compito nella maniera più rapida ed efficiente possibile puntando al risultato; a differenza dei designer che preferivano con tutta pacatezza soffermarsi su ogni particolare, puntualizzare ogni dettaglio (come l’essere stata personalmente ripresa per aver definito semplicemente rosso quello che in realtà è un rosso cremisi) e sul dare ogni precisa definizione al contesto. E’ emersa quindi una leggera difficoltà nel coordinare quanto assegnatoci dovuta principalmente ai diversi modi di lavorare; è ben prevedibile che con l’impostazione tradizionale, all’interno dell’azienda possano sorgere incomprensioni e difficoltà di comunicazione tra queste due aree. E’ fondamentale quindi che ragazzi interessati al management nel settore moda debbano imparare a saper coniugare le tecniche di marketing, finanza, produzione e la conoscenza delle caratteristiche delle imprese nel campo fashion con una forte sensibilità al prodotto. Esperienze di questo tipo e collaborazioni già in ambito universitario tra le diverse future figure professionali, possono quindi aiutare a formare e sviluppare nei prossimi manager una maggior attenzione, nuovi spunti e riflessioni sulle diverse angolazioni e prospettive con cui vedere il prodotto oltre ad una maggior comprensione sul come poter relazionarsi con le persone che svolgono compiti più creativi.

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  3. Pur non avendo potuto partecipare all’iniziativa, ho personalmente sempre creduto nell’importanza della multidisciplinarietà,specie di questo tipo.

    In base alla mia esperienza personale in tema di lavori di gruppo “creativi” (ho avuto modo di collaborare con studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli per un progetto nel settore fashion), ho sempre trovato affascinante,oltre che estremamente istruttivo, tastare con mano la differenza di approccio che solo una determinata forma mentis e un certo tipo di percorso formativo possono conferire. Se è pur vero che l’interesse che ruota attorno al tema della multidisciplinarietà all’interno di un team di lavoro non sia affatto un mistero (è al centro di moltissime teorie organizzative), d’altra parte è verissimo (e lo ricordo del resto molto bene) che all’atto pratico non si riesca sempre a coordinare il tutto in modo “fluido” o, perlomeno, non si riesca a farlo in tempi “rapidi”(ed essere sempre efficienti, nel bene e nel male, è uno dei 10 comandamenti per noi economisti).

    Credo tra l’altro che questo sia il tipico aspetto (con le opportune differenze, certamente) che si riscontra anche lavorando in un team multiculturale ed è interessante notare come il filo conduttore alla base di un lavoro difficile ma dalle performance potenzialmente altissime, come in questo caso appunto, sia proprio la “diversità”. Va da sè che gestire qualcosa di cui non si conoscono le dinamiche a priori non sia affatto facile perchè la possibilità che il confronto costruttivo si trasformi in “scontro” è piuttosto altina e perchè, inoltre, ci sarebbe bisogno della giusta apertura mentale (possibilmente scevra da pregiudizi o luoghi comuni) nel relazionarsi con i componenti “diversi”, da ambo le parti. E in questo non solo il sistema formativo universitario ma anche diversi fattori culturali esercitano un peso rilevante.

    Tutto questo non può non far emergere in me un’ultima considerazione, del tutto personale, in quanto credo che questo tipo di esperienza abbia anche un’altra valenza (non meno importante): recepire punti di vista diversi e prendersi un po’ meno sul serio (!). Senza ascolto o ricezione (cosa già tutt’altro che scontata) è piuttosto difficile ottenere un’integrazione di competenze, o anche solo di idee. Del resto, bisogna riconoscere che questa è un po’ una pecca (anche) di noi economisti: non riusciamo ad essere sempre elastici come vorremmo, anche se andiamo in giro a dire che lo siamo. 🙂

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  4. Questa interessante iniziativa ha sicuramente dato spunti di riflessione su tematiche interessanti. É sempre intrigante avere la possibilità di interagire e muoversi in ambienti differenti purché si sia disposti a collaborare e mettersi in gioco. Penso che, infatti, sia proprio questa una delle caratteristiche fondamentali per i manager di domani. Versatilità, capacità di adattamento e interesse attivo verso il lavoro degli altri e l’ambiente circostante sono virtù imprescindibili per qualsiasi tipo di manager, non solo per coloro che operano nel settore della moda.
    Penso sia corretto però ritenere che esista sempre un velo d’impermeabilità alle convinzioni altrui quando le iterazioni sono tra soggetti con background così differenti. Per questo motivo l’aim di questi progetti multidisciplinari dovrebbe essere lo sviluppo di capacità di team-working con persone con punti di vista diversi e allo stesso tempo complementari ai propri, piuttosto che il tentativo di formare figure che racchiudano in sé competenze così diverse. Ritengo che un risultato migliore si possa sempre ottenere attraverso lo sviluppo di un’idea creata in team, purché sussistano al suo interno valori quali il rispetto reciproco, la multidisciplinarietà e l’allineamento degli obiettivi.

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  5. Mi trovo molto d’accordo con Sacha, che ricorda che la multidisciplinarietà è importante, ma sottolinea anche che la specializzazione di ciascuno è fondamentale.
    Anch’io ho partecipato all’iniziativa oggetto del post, e ho trovato il confronto formativo essenzialmente nel contatto che ho avuto con studenti (e futuri lavoratori) con una mentalità così diversa.

    Non sono certo però che la differenza di approccio per quanto riguarda il problem solving o il pensare al prodotto in modo artistico piuttosto che economico sia necessariamente da ridurre. Altri studi, così come il buon senso, suggeriscono che la diversità è un valore che deve trovare lo spazio per manifestarsi all’interno di un team di lavoro, in quanto ne accresce notevolmente l’efficacia.

    La capacità di lavorare in gruppo, per questo, è essenziale. Quello che forse manca in certi percorsi formativi è proprio una continua spinta alla collaborazione verso obiettivi comuni, ed è uno dei principali motivi per cui successivamente ci si trova in azienda e non si riesce ad essere efficaci nel lavoro in team.
    Attività come quella descritta contribuiscono a creare quelle già citate soft skills come la capacità di ascolto e di integrazione di idee diverse, o l’accettazione e la valorizzazione della diversità, che sono per tutti delle competenze critiche, e al contempo estremamente difficili da sviluppare, in quanto presuppongono di mettersi in discussione in prima persona, in continuazione.

    Quindi a mio parere una strada corretta da perseguire è quella della grande diversità con alte competenze di integrazione e collaborazione, con l’attenzione però a non raggiungere l’eccesso di formare figure con competenze tecniche troppo “sbiadite” che “sanno un po’ di tutto” (ma niente bene). È un rischio che esiste, ma per fortuna come studente padovano ritengo che si stia andando ancora nella direzione giusta.

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  6. Sicuramente questa è la via giusta da seguire per formare i nuovi manager della moda rendendoli più consapevoli di tutte le varie dinamiche che compongono lo sviluppo dei nuovi prodotti, dalla progettazione del prodotto stesso alla potenziale vendita di quest’ultimo.

    Ma soprattutto credo che iniziative come questa siano un’opportunità di crescita personale e professionale. La possibilità di confrontarsi con persone che provengono da “mondi” diversi è indispensabile per capire come ognuno di noi è in grado di relazionarsi con persone che hanno una visione diversa dalla propria, ascoltare, proporre le proprie idee e metterle in discussione poichè sarà proprio questo quello che ci verrà chiesto di fare in un futuro nel mondo del lavoro. Avere la possibilità di sperimentare questo processo in un ambito universitario, dove non si ha la pressione di un superiore che vuole un progetto, che realisticamente faccia guadagnare e che rispetti tassativamente il budget, entro il giorno x nel suo ufficio, aiuta gli studenti a capire come affrontare al meglio la collaborazione con le varie figure che compongono un team di progettazione, a crescere da un punto di vista interpersonale e ad ampliare le proprie conoscenze in settori diversi dal proprio. Tutto questo permetterà a chi andrà a fare un lavoro di questo tipo di affrontare un meeting in modo un pò più sereno e più consapevole.

    Quindi un applauso all’ Università IUAV di Venezia e all’Università di Padova per l’iniziativa da loro promossa, sperando di vedere nei prossimi anni questo tipo di progetti crescere sempre di più anche in settori diversi.

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  7. Iniziativa assolutamente interessante a cui sono contento di aver partecipato! Si può dire sia stata una sorta di anticipazione per ciò che andremo ad affrontare tra qualche mese una volta entrati nel mondo del lavoro: collaborare con persone dai background eterogenei che condividono degli obbiettivi da raggiungere.

    Per quanto riguarda il tipo di competenze necessarie per intraprendere una carriera brillante nella fashion industry, la recente nomina a CEO del direttore creativo di Burberry Christopher Bailey può essere una prova a sostegno della tesi proposta nel post.

    A questo punto, rimangono da convincere gli azionisti della società inglese: il giorno della comunicazione al mercato di questa decisione, il titolo ha perso diversi punti percentuali.

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  8. Ben vengano questo tipo di iniziative! Il mondo del lavoro e quello dell’Università sono molto differenti e trovo che spesso nel nostro percorso di formazione universitario non ci siano offerti degli strumenti adeguati per saperci muovere con “disinvoltura” nel mondo del lavoro. Questo tipo di attività non può che essere d’aiuto per aumentare la propria elasticità mentale (spesso sacrificata a fronte di un, seppur necessario, rigore nella lettura e nell’utilizzo dei numeri nei bilanci,degli indici ecc.) e, non di meno, la capacità di relazionarsi e di interagire con persone di formazione diversa ma potenzialmente complementare alla nostra.
    Non sempre è facile riuscire in questo intento e non tutti possiedono queste capacità (e non per tutte le funzioni e ruoli aziendali si può ragionare così! ). Ma personalmente ritengo che dalle differenze (di pensiero,di formazione, di competenze) e dal confronto che ne consegue possano quasi sempre svilupparsi delle idee interessanti.

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  9. Se questa è la strada per formare i nuovi manager della moda, sono contenta di aver fatto un primo piccolo passo nel percorso che potrebbe portare a inoltrarsi nell’affascinante mondo delle aziende del settore moda.
    Quest’attività ci ha messo alla prova, abbiamo dovuto interagire con studenti di tutt’altra realtà didattica oltre che di pensiero :“gli artisti”. Come gestire le relazioni all’interno del team per portare a termine il compito assegnatoci? Il mio gruppo si è mosso mettendo sul tavolo le proprie competenze e conoscenze; ad emergere è stato un interessante scambio interculturale grazie anche alla possibilità di beneficiare di un prezioso privilegio: poter disporre delle conoscenze di una personalità speciale, Alessandra Arezzi Boza, curatrice dell’Archivio Fondazione Pucci, che ci ha trasmesso un po’ del suo appassionato sapere sulle creazioni e sui valori del marchio Pucci.
    Questo progetto ha permesso a noi studenti di management di comprendere meglio il prodotto e, altro aspetto molto importante, cosa vi sia dietro lo sviluppo di una collezione; è stata un’ottima opportunità per capire in modo più concreto se questo contesto lavorativo potrebbe essere in linea con le proprie capacità e predisposizioni. Esperienze di questo tipo sono davvero molto utili e andrebbero ampliate ed estese anche ad altre discipline.

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  10. Ho partecipato personalmente all’ esperienza del Workshop e ho trovato l’iniziativa molto interessante in quanto ho avuto la possibilità di conoscere più da vicino un settore che da sempre mi affascina come quello della moda. Il lavoro in team mi ha permesso non solo di ampliare le mie conoscenze relativamente a questo mondo ma anche di mettermi alla prova lavorando per la prima volta in un team multidisciplinare (composto da due miei colleghi e da due studenti dello IUAV di Venezia). Credo che questo avvenga tutti i giorni in qualsiasi tipo di azienda dove persone che appartengono ad un’area diversa devono comunicare : capirsi e farsi capire. Nel caso specifico, le società della moda richiedono sempre più persone esperte in grado di combinare creatività e gestione. Il “Fashion Manager” deve acquisire competenze specifiche ed essere in grado di comprendere e interpretare le regole del sistema moda ,i suoi linguaggi e tendenze.
    “Manager esperto cercasi!!” è l’allarme lanciato da Spencer Stuart, una delle più importanti società internazionali di consulenza, che affianca numerose griffe alla ricerca della “persona ideale”. Infatti ,le aziende del settore stanno cambiando pelle e assomigliano sempre più a vere e proprie multinazionali e questo rende necessaria la presenza di figure altamente qualificate. Il profilo più richiesto è l’esperto di marketing , di merchandising forte nella gestione dei negozi monomarca, buyers, ma anche business controller. Di esempi, anche e soprattutto in Italia, ce ne sono tanti: da Bottega Veneta a Fendi, da Tod’s ad Armani, ma il paradosso ,è che in molti casi queste aziende non trovano in Italia i professionisti di cui hanno bisogno e devono andare a cercali all’estero.

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