(Non) è vietato fare foto in negozio

Quando, ormai parecchi anni fa, io e il mio amico Paolo Brugioni abbiamo visitato per la prima volta il nuovo flagship della catena inglese  All Saints il negozio ci è piaciuto così tanto che non abbiamo resistito alla tentazione diattare delle foto di alcuni dettagli con l’obiettivo di discuterle poi con i nostri allievi del Master in Retail Management.Appena scattate furtivamente un paio di foto siamo stati però individuati dal personale del negozio e abbiamo ritenuto opportuno raggiungere rapidamente l’uscita. Eravamo già all’esterno e ci sentivamo in salvo con il nostro bottino di immagini quando ci ha raggiunti un omone che, ricordandoci in modo brusco che nel negozio è vietato scattare fotografie, ha voluto anche verificare personalmente che le foto “rubate” fossero cancellate dalla memoria delle nostre macchine fotografiche.

Non è stata naturalmente l’unica volta che sono stato sgridato o addirittura sbattuto fuori da un punto vendita per via delle foto, e del resto l’ultima volta che sono stato ripreso per aver scattato una foto è successo giusto poche settimane fa in un bel supermercato italiano aperto da poco. Con questi ricordi ben presenti in testa sono andato la scorsa settimana a visitare il negozio Hermès Sèvres, nella zona di Saint Germain des Prés a Parigi. Si tratta di uno dei gioielli della scena retail parigina e una tappa obbligata per chi visita la città anche secondo la Wallpaper City Guide, non solo perché in circa 1.400 metri è possibile ammirare l’offerta di Hermès in tutta la sua completezza, ma anche per la bellezza del punto vendita. Questo è stato infatti progettato dallo studio RDAI, gli architetti di fiducia della casa francese, in quella che era una piscina art deco costruita alla metà degli anni ’30 del secolo scorso (e ora tutelata come monumento nazionale) mantenendo intatto l’edificio originale e animando lo spazio interno con delle “capanne” di frassino intrecciato.hermes1

Anche questa volta non ho saputo trattenermi dallo scattare qualche foto ricordo (quelle utilizzate per illustrare questo posto), ma nessuno tra il numeroso personale dell’azienda presente ha avuto alcunché da obiettare. Disattenzione? Pigrizia? In realtà il management di quel negozio ha capito meglio di altri che non c’è cosa più bella per un’azienda che poter contare su clienti che svolgono volontariamente il ruolo di brand ambassador condividendo con gli amici immagini e sensazioni della loro store experience. In fondo non è proprio il partecipare alle conversazioni tra clienti e potenziali clienti il nuovo sacro graal dei marketing manager, inseguito con investimenti sempre più ingenti? Perché allora non sfruttare il negozio, uno dei mezzi di comunicazione più potenti di cui le aziende dispongono, per attivare queste conversazioni? Chi non ha nulla di cui vergognarsi elimini allora l’anacronistico divieto di fotografare dalle porte di ingresso!

17 pensieri riguardo “(Non) è vietato fare foto in negozio

  1. Hanno paura di essere copiati, come se ci fosse necessità di foto ormai per copiare.. Hanno paura di essere pubblicati su pagine “non appropriate”, come se fosse possibile controllare un universo fluido come quello del web (e anche se fosse, che senso avrebbe?..).
    In definitiva sono ancora irrimediabilmente immobili.
    Io rubo costantemente immagini e ho acquisito ormai una tecnica consolidata che mi permette di non essere beccata. Le uso esclusivamente per scopi di informazione e questo non mi sembra affatto disdicevole.

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  2. Sì, il negozio diventa sempre più importante, sempre più spesso tanto quanto il prodotto in esso venduto, talvolta invece anche di più. Chiamarlo “solo” negozio potrebbe essere riduttivo, dato che questi luoghi sono veri e propri contenitori di arte, cultura, occasioni di aggregazione e molto altro.
    A questo proposito mi vengono in mente due concept stores che uniscono senza soluzione di continuità musica, tendenze, design, food fino a diventare essi stessi dei brand: 10corsocomo a Milano e Colette a Parigi.
    10corsocomo (www.10corsocomo.com) è nato come galleria d’arte da un’idea di Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia, nel 1990 proprio al civico 10 di Corso Como a Milano, in una ex fabbrica. Con il suo ben noto logo bianco e nero è ora diventato un punto di riferimento nel panorama del fashion e non solo. Le aperture delle altre tre locations a Shanghai, Seoul e Pechino, avvenute successivamente, ne attestano chiaramente l’importanza di icona del lifestyle internazionale.
    Nel cuore di Parigi, in Rue Saint-Honoré, si trova invece Colette (www.colette.fr) che aprì le sue porte per la prima volta nel 1997. Dislocato su tre piani, per un’estensione di 700 metri quadrati, Colette propone un assortimento di prodotti fashion, high tech, arte, streetwear, beauty, libri oltre al trendy water-bar restaurant. Si è attestata nel tempo come esclusiva e autorevole piattaforma di lancio di prodotti in limited edition, manifestazione di nuovi talenti, location innovativa per eventi.

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  3. Sono commerciante ed il problema delle foto lo vivo quotidianamente.
    Ho valutato i pro e i contro sul fatto che sia giusto o sbagliato fare foto, ma a questo punto ho capito bene che la metà di chi vuole fotografare gli oggetti lo fa perchè vuole trovare pari pari lo stesso articolo su internet. Chiedono sempre il prezzo di quello che fotografano, a volte vogliono sapere il codice dell’articolo, la marca o altri dettagli. Poi non li vedi più.
    Inventano balle come “devo mostrarlo a mia moglie, mio marito, la mamma, la fidanzata” e via di seguito.
    Su internet trovi sempre gli articoli a qualche euro in meno, a volte anche parecchi euro in meno a causa di siti come Dalani o altri che sfruttano il bisogno di danaro delle aziende.
    Io non ho nulla con chi compra su internet, però loro si fanno le loro belle navigate sui siti e poi comprano secondo quello che imparano dal sito stesso..
    Io non voglio lavorare in negozio per aiutare queste persone a comprare meglio su internet

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  4. Lo scatto delle foto all’interno di un punto vendita può essere fastidioso per alcuni retailer volenterosi di preservare prodotti e idee, evitando così imitazioni o magari acquisti dello stesso prodotto da un altro rivenditore. D’altra parte però “da cosa nasce cosa” e da una fotografia potrebbe nascere un’idea innovativa completamente diversa; o magari la bellezza di un’installazione interna al negozio potrebbe essere fotografata e condivisa sui diversi social, aumentando così la visibilità del negozio stesso. La condivisione di pensieri e di prodotti attraverso una diversa comunicazione favorisce sicuramente una maggiore riconoscibilità degli stessi accompagnata da maggiori feedback (positivi si spera) da/a più utenti.

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  5. Concordo pienamente che la miglior pubblicità possibile per un negozio sia quella fatta dai clienti stessi. Ma comprendo anche il fastidio di uno store manager nei confronti delle fotografie scattate nel suo negozio. A mio parere nel valutare questo atteggiamento bisognerebbe fare una distinzione tra i flagship store, ideati apposta per essere una bandiera e rappresentare l’immagine che l’azienda vuole dare di sé, e punti vendita di tipo diverso, come i normali supermercati.
    Posto che tutte le grandi aziende dovrebbero cercare di comunicare coerentemente la loro immagine anche attraverso il layout e l’assortimento del negozio, credo che nel caso dei supermercati entrino in gioco considerazioni ulteriori tipo il timore di fornire troppo facilmente informazioni critiche ai concorrenti, come la composizione precisa dell’assortimento o i prezzi. Certo, queste informazioni sono facilmente ottenibili comunque, basta andare periodicamente a osservare lo scaffale e a scriversi i prezzi, però ad un costo maggiore che non scattando semplicemente una fotografia. Per questo motivo credo che agli store managers si ponga il problema di scegliere tra l’incrementare la loro share of mind facilitando le ricerche di mercato dei concorrenti e vice versa.
    Se fossi io a dover risolvere questo dilemma probabilmente propenderei per la prima ipotesi (nel caso del flagship All Saints, lo farei sicuramente) ma credo anche che dipenda da quanto lo specifico punto vendita sia “finalizzato alla comunicazione” e che sarebbe opportuno valutare caso per caso i pro e i contro di tutte le soluzioni.

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  6. Non c’è motivo per proibire ed addirittura inseguire chi cerca di condividere le immagini di un negozio. Un atteggiamento miope e tra l’altro inutile dato che si tratta di un luogo pubblico accessibile a chiunque. Credo che sempre più retailer capiranno e anzi non mi stupirei se tra qualche tempo saranno gli stessi commessi ad incitere i clienti a farsi selfie in store con l’acquisto appena scelto.

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  7. Sono d’accordo con Pietro e ritengo che i retailers innovativi dovrebbero essere felici di diffondere l’immagine del loro negozio così da creare brand e fedeltà tra i propri clienti. In merito a ciò mi sembra utile citare la campagna pubblicitaria promossa da Liu Jo che a partire dal 6 ottobre ha inaugurato il progetto New Fit – Design your body. L’obiettivo era invitare le clienti a scattarsi un selfie in store, da pubblicare sulla pagina Instagram del brand, con addosso uno dei nuovi modelli di jeans della linea New Fit. In questo modo il brand ha invitato le clienti a fare da modelle per una nuova iniziativa di social selfie nei principali Liu Jo Store italiani e partecipare in questo modo al progetto New Fit – Design your body. In questo modo la cliente si immortala in store e contribuisce a diffondere l’immagine di sé, del prodotto, del brand e del negozio fisico tra i propri contatti.
    Questo è un chiaro esempio di come dovrebbe funzionare la diffusione dell’immagine del Pdv e di come dovrebbero essere gli stessi retailers ad incentivarla tra i propri clienti.

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  8. Penso no ci sia motivo di proibire ad un cliente di scattare una foto in un Punto Vendita che l’ha colpito in modo particolare. Soprattutto perché, se ha avuto l’input di farlo, probabilmente quel luogo ha suscitato un’emozione, un piacere o una sensazione da ricordare. Questa è proprio una delle leve più importanti del marketing in quanto lo stesso cliente che ha scattato la foto la farà vedere ad altri potenziali oppure la condividerà nei social network, attivando un potente mezzo di comunicazione della visibilità del brand o PDV, che deve essere valorizzato e non represso. Chiaro che la paura di imitazione o comportamenti opportunistici può essere giustificata in alcuni casi, ma ciò può essere messo in secondo piano se la comunicazione attivata tra i clienti, per mezzo delle foto, si inserisce all’interno della maggiore visibilità e pubblicità (positiva) del brand/PDV.

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  9. Ma non avete capito niente! A parte alcuni casi particolari, la gente non fotografa il negozio, ma la merce! Poi la vanno a cercare altrove, specie su internet.
    E’ un mondo che voi non conoscete. Lo vedete dall’esterno e dal vostro punto di vista.
    Molte persone sono a modo ma molte sono menefreghisti che non si curano del lavoro degli altri.

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  10. Ma perché in Italia bisogna sempre contestare ogni cosa e fare di testa propria?!!!?!se si entra in casa di qualcun altro e ci vieta di fare foto alla propria proprietà,rispettiamo la cosa e basta.non ci sarà una legge ma cmq ci sono delle regole e vanno rispettate.se qlcn si fermasse davanti alla vostra abitazione a scattare foto,vi farebbe piacere?pensate un pò se entrasse direttamente in casa vostra e si mettesse a scattare.un pò di buonsenso dai.

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  11. Articolo molto interessante. Durante la mia permanenza a Berlino ho avuto modo di visitare il KaDeWe. Stupendo a dir poco. Un punto vendita innovativo, diverso dagli standard a cui si è abituati non solo a causa delle marche che vi si poteva trovare ma anche per il design e la scelta dell’arredamento. Anche io come Lei, desideroso immortalare il momento, vengo immediatamente fermato da una guardia che mi indica un cartello vicino all’entrata con una fotocamera sbarrata (che difficilmente si nota mentre si è impegnati ad ammirare ciò che ci circonda).
    Questo mi ha fatto riflettere sul motivo di tale divieto. Un punto vendita ricopre molte importanti attività nel processo d’acquisto, e permettere ai clienti di immortalare l’esperienza e condividerla con gli altri, come ha detto Lei nell’articolo, dovrebbe essere una cosa positiva. Alcune spiegazioni al divieto potrebbero essere il fatto che non si desidera che l’interno del negozio sia mostrato al pubblico senza che essi ne siano entrati. In questo modo, si invoglia la gente a visitare il posto e, già che ci sono, comprare qualcosa. Un altro motivo può essere il fatto che si desidera tenere “nascosto” il design del negozio fino al momento dell’arrivo dei clienti, perché lo si usa come elemento di differenziazione dalla concorrenza.
    Mi è anche capitato di vedere negozi in cui è possibile fare foto, ma non nelle camerini di prova. Questo motivo probabilmente è dovuto alla volontà di non fare foto alla merce per poi avere la possibilità di ricercarla in altri posti, o nel mercato online. Infine, un motivo legato di più alla legalità che al marketing, può riguardare la volontà di impedire che nelle foto vengano inclusi i volti dei commessi o degli altri clienti nel negozio, violandone la privacy.
    Al contrario invece, alcuni punti vendita, come per esempio Hollister, è ben accetta la fotografia, tanto che mettono a disposizione anche modelli e modelle. Così, la condivisione della brand experience vissuta dai clienti nel punto diventa pubblicità a costo zero per il negozio.

    Riccardo Parvenza

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  12. Chi entra in un negozio e fotografa la merce esposta lo fa per motivi di controllo per un confronto con altri concorrenti, diverso è se si fotografa il negozio “nell’insieme” perchè è bello. È la STESSA identica cosa del diritto d’autore sulle foto. Immaginate di ever creato un oggetto (abito, soprammobile) di design, dove per realizzarlo vi ci è voluto tanto tempo, settimane o mesi. Quello che avete fatto viene ripetutamente fotografato da sconosciuti, per replicarselo a casa loro senza, magari, nemmeno chiederti se è in vendita o quanto costa. Appunto, come se qualcuno duplicasse una vostra foto!

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  13. Il discorso è estremamente più complesso, merita un approfondimento che vi invitiamo a leggere e ci scusiamo per i troppi caratteri occupati.
    Le opere d’ arte hanno il copyright, le foto hanno copyright, i marchi…un concept store inteso come opera anche artistica di uomini per quale ragione non dovrebbe avere il copyright? Oggi il notevole investimento in ricerca e presentazione prodotto, tendenze, indoor marketing, brandizzazione etc. necessario alle aziende per essere performer protagonisti ed avanguardisti sul mercato, è il maggior valore del brand stesso ch epuò essere leso da una comunicazione errata a mezzo foto da visitatori di stores. Purtroppo l’ unico scopo del visitatore medio degli stores di tendenza affetto dalla sindrome di amazon e del vorrei ma non posso è quello di caRpire SIA info quali Produttore, modello, codice, prezzo per poi con una ricerca spasmodica tentare di accaparrarselo su internet, SIA di usufruire gratuitamente di un servizio che il web non può dare (consulenza, accoglienza, rapporto umano, info tecniche approfondite, tendenze, novità, visione, prova fisica del prodotto in cui l’ azienda ha ulteriormente investito rendendo l’ articolo disponibile alle prove nel proprio showroom ma che poi chiaramente non sarà sempre vendibile).
    Il turismo fotografico negli stores è un comportamento irrispettoso (liberi di comprare sul web MA allora perchè entrare in uno store a far perdere tempo e a fare foto? Perchè non comprare direttamente sul web?) verso tutto il comparto stores ed i suoi addetti front e back, è tipico di un target di clientela culturalmente non in grado di comprendere il danno enorme provocato. TUTTE le aziende potrebbero vendere a prezzi inferiori al web SE non avessero servizi, dipendenti, luoghi fisici, articoli prova, tasse nel paese in cui è geolocalizzato lo showroom, servizi che però puntualmente tutti, compratori compulsivi da web compresi, utilizzano. Quindi chi entra in uno store come mai non ha la capacità intellettuale di comprendere che articolo+logistica ha un prezzo, articolo +servizio+luogo fisico+etc. è un altro prezzo? Oppure intendiamoci lo hanno compreso bene….ma forse non hanno ben chiaro che è autodistruttivo.
    Questo comportamento demenziale e sconsiderato ha demolito la capillarità della rete commerciale italiana.
    Quindi NON prendiamoci in giro nascondendoci dietro alle foto artistiche del “luogo”, quelle si fanno ai musei…non agli articoli in cui un’ azienda ha investito.
    Per quei rari e culturalmente impegnati clienti che vogliono immortalare insieme alla foto dei figli quella del concept di un brand possono downloadare le immagini che l’ ufficio comunicazione del brand stesso rende disponibili in maniera mirata anche sul web.
    Il Brand ambassador: se l’ azienda ritiene che l’ utilizzo di brand ambassador sia produttivo, sarà l’ azienda stessa a permettere l’ uso di fotocamere in determinate aree dello store ed a contattare brand ambassadors. Vi assicuriamo che i brand ambassadors sono scomparsi e da tempo evoluti in social blogger …e tutto sono fuorchè clienti in quanto loro stessi fornitori di un servizio a pagamento of course.
    Quindi evitiamo di voler dare una giustificazione a chi incivilmente sfrutta il network dei negozi italiano come Ufficio di Informazioni turistiche (viste le foto) e compra poi altrove ingrassando spesso aziende e fiscalità straniere. Peccato poi che l’ acquirente da gita turistica al concept store ed acquisto all’ ultimo centesimo da web, sia lo stesso che poi lamenta la mancanza di lavoro per i propri figli addossando la colpa al governo di turno.

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    1. Naturalmente vietare di scattare foto (di negozi o di opere d’arte) è una scelta legittima ma penso ancora che sia una scelta di marketing sbagliata. Non a caso oggi la maggior parte dei negozi (e anche dei musei) non ostacolano i visitatori desiderosi di condividere l’esperienza.
      La ringrazio comunque dei commenti che mostrano come questo mio pezzo di cinque anni fa sia ancora attuale.

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