4 numeri per capire Birkenstock

Chi ha visto il film Barbie lo sa già, ma a scanso di equivoci il prospetto dell’IPO Birkenstock lo esplicita chiaramente fin dalla prima pagina: “Birkenstock is more than a shoe. It’s a way of thinking, a way of living”.

Il prospetto contiene però molti altri spunti interessanti e dei numeri sui quali vale la pena di riflettere. Qui sottolineo quelli secondo me più interessanti.

📌 3,6: le paia possedute oggi in media dai consumatori che sono clienti Birkenstock, perché Birkenstock ha saputo trasformarsi da prodotto funzionale a brand guidato dal purpose di “dare a ognuno la possibilità di camminare secondo natura”, rivolgendosi a chi ama un “active, healthy, casual, responsible, and mindful lifestyle” e intercettando così diversi trend dall’ecologismo al “moderno femminismo”.

Birkenstock ha saputo quindi diventare il love brand per una community appassionata che si riconosce nei suoi valori e che trascende qualsiasi classificazione per età, genere o reddito.

📌 95%: la percentuale della produzione realizzata negli stabilimenti di proprietà aziendale in Germania dove può essere garantita la massima qualità. Anche il 90% delle componenti proviene da fornitori che lavorano in Europa, l’ambiente produttivo più sicuro e regolamentato che ci sia, sottolinea con il prospetto.

La gestione della supply chain è quindi sempre rimasta coerente con i valori aziendali, senza lasciarsi indurre in tentazione dalla prospettiva di risparmiare un po’ di euro sul costo del lavoro.

Producendo scarpe orgogliosamente Made in Germany si può realizzare un margine lordo (adjusted) del 62%, perché il costo non è sempre la variabile più importante, nemmeno quando si vendono calzature con un entry price di 40 euro.

📌 20%: il CAGR dal 2014 al 2022, un lasso temporale scelto non a caso perché è quello durante il quale l’azienda è stata diretta dall’attuale CEO Oliver Reichelt, il primo amministratore delegato esterno alla famiglia. Aprirsi ai manager esterni dopo oltre due secoli non è un passaggio scontato per un’azienda familiare, e non lo è stato sicuramente nemmeno quello di far entrare un fondo come L Catterton nell’azionariato.

I risultati mostrano però che si è trattato di una scelta lungimirante: è il caso che qualche famiglia arroccata al comando di aziende stagnanti prenda nota.

📌 38%: la quota di business oggi DTC, con un balzo in su di 8 punti sul 2020, perché questo consente di esprimere meglio la brand identity, di coinvolgere direttamente il consumatore e, last but not least, di disporre di dati in tempo reale sul comportamento del consumatore.

Negli ultimi anni, inoltre, l’azienda ha accorciato i canali distributivi prendendo in mano direttamente la distribuzione in molti paesi chiave per poter selezionare meglio i retail partner.

Come dico sempre ai miei studenti: la potenza del brand è nulla senza il controllo della distribuzione.

La lettura del prospetto è veramente affascinante e la consiglio a tutti gli appassionati di marketing: non credo diventerò mai cliente, ma ora prenderò in considerazione l’ipotesi di diventare azionista (una decisione comunque da ponderare con attenzione visto che la quotazione avverrà a un multiplo di circa sette volte i ricavi dell’ultimo bilancio)

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