Aprite questo baule per capire cosa vuol dire lusso (spoiler: i soldi non c’entrano)

Nella settimana che si sta chiudendo avrei dovuto tenere nel mio corso di Marketing a Padova la lezione sul marketing della moda e dei prodotti lifestyle e uno dei temi che avrei affrontato è l’evoluzione del lusso. Non so ancora quando e se potrò recuperare questa lezione, ma per introdurre l’argomento avrei iniziato svelando il contenuto del baule che vedete fotografato qui sopra.

Di che si tratta? Il baule è un riconoscibilissimo trunk artigianale Louis Vuitton, ma ciò che è più interessante è che si tratta del baule ideato e costruito per contenere la coppa del campionato mondiale di League of Legends che si è tenuto a Parigi lo scorso novembre. Il colosso del lusso ha infatti stretto una partnership con la Riot Games, l’azienda che sviluppa League of Legends, che prevede oltre al baule, la realizzazione di una capsule collection (della quale ho riportato in fondo alla pagina un capo) e il rilascio di speciali skin per il gioco: la prima di queste è stata rilasciata in occasione del campionato del mondo in novembre e la seconda il giorno del mio compleanno, il 4 febbraio (la coincidenza tra i due eventi è però del tutto casuale). Per una decina di euro è così possibile rivestire alcuni personaggi di League of Legends con creazioni realizzate appositamente da Nicolas Ghesquière, il direttore creativo della maison.

Questa collaborazione è interessante per riflettere sul significato di lusso perché ci ricorda che ciò che caratterizza i grandi brand del lusso non è semplicemente (e banalmente) il saper vendere beni che costano tanti soldi, e neppure l’eccellenza (che viene comunque data per scontata), quanto invece la capacità di essere sempre culturalmente attuali pur mantenendo dei legami con la tradizione e l’heritage. Ecco perché, come ha sottolineato anche Kapferer nel libro che trovate tra le mie segnalazioni, aziende come Prada e la stessa Louis Vuitton mantengono uno stretto legame con il mondo dell’arte contemporanea, ed ecco perché il brand francese non esita a contaminarsi con mondi apparentemente lontani dal lusso come lo streetwear (è rimasta famosa la capsule in collaborazione con Supreme) o il gaming.

La partnership con Riot Games consente quindi a Louis Vuitton di conseguire tre benefici: in primo luogo è un modo per veicolare la propria immagine presso un target numeroso e altrimenti difficile da raggiungere (il tipico hard gamer frequenta poco la tv e i magazine), in secondo luogo la vendita di beni virtuali (e quindi con costi variabili di produzione pari a zero!) consente di realizzare un po’ di profitti addizionali, ma soprattutto, e questo è il terzo beneficio, il brand viene nutrito con l’energia che caratterizza oggi mondi dinamici come quelli degli esport e del gaming.

Un pensiero riguardo “Aprite questo baule per capire cosa vuol dire lusso (spoiler: i soldi non c’entrano)

  1. Trovo molto interessante il modo in cui il lusso si stia evolvendo. È il caso di dire che i confini tra un settore e un altro, una volta molto più netti, stanno diventando sempre più sfumati. Già all’interno dello stesso mondo della moda assistiamo a fenomeni di co-branding tra marchi del lusso e marchi di fast-fashion/streetwear il cui accostamento sarebbe stato un tempo impensabile; un esempio lampante è quello di H&M, che dal 2004 sino all’anno scorso ha collaborato con numerosi fashion designer provenienti da maison del calibro di Versace, Moschino, Comme des Garçons, Balmain, Maison Martin Margiela, Giambattista Valli. Questa tendenza viene inquadrata in quella che è definita da molti la “democratizzazione” del lusso, con cui si permette l’accesso a mondi sino a poco tempo fa considerati inarrivabili, perché di nicchia, ad un target molto più ampio, spesso mediante l’acquisto di prodotti limited edition offerti a prezzi più accessibili.
    Poi, secondo me, per quanto riguarda i tentativi (ben riusciti) delle case di moda di tenersi sempre al passo con i tempi, oltre alla recente commistione lusso-gaming, è emblematica anche quella più consolidata tra lusso (o lusso x streetwear) e musica. I trapper italiani più noti (Tony Effe della DPG tra i capofila) non fanno altro che sfoggiare, dal vivo così come nei testi delle loro canzoni, abiti firmati Gucci, Prada, persino i classicissimi Burberry e Chanel. In questo modo viene totalmente scardinata l’equazione per cui lusso = persone altolocate e raffinate; inoltre, incorporato in musica commerciale, il lusso riesce a farsi conoscere come qualcosa di altamente cool presso un pubblico vasto e iperconnesso, quello della generazione Z.

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