Il cinquantesimo anniversario dei moti di Stonewall è stato celebrato nelle ultime settimane in (quasi) tutto il mondo con marce e feste che hanno coinvolto milioni di persone. Molte aziende hanno colto l’occasione per investire su questo evento, partecipando come sponsor o sviluppando prodotti dedicati. Ma conviene investire su eventi ancora in parte controversi (si pensi al moltiplicarsi di processioni “riparatrici” nelle città italiane) come i Pride?
Il caso di Diesel può offrire uno spunto di riflessione interessante: l’azienda ha presentato una collezione di capi dedicati al Pride e ha pubblicato sul proprio account Instagram una serie di post sul tema caratterizzati dall’hashtag #loveislove. I post sono stati molto commentati e tra i commenti numerosi sono stati quelli di disapprovazione dell’iniziativa. Il risultato di questa strategia di comunicazione è stato che in una settimana l’azienda ha perso circa 14.000 follower del suo account Instagram (che ne conta attualmente 2,1 milioni).

La cosa più interessante è che il post (riprodotto qui sopra) con il quale l’azienda ha provocatoriamente ringraziato i follower che l’avevano lasciata per aver “esibito il proprio orgoglio” è stato il più coinvolgente con oltre 54.000 like e, soprattutto, con 3.300 commenti caratterizzati da un sentiment decisamente positivo.
Che valutazione può essere data di questa iniziativa? Chi non ha letto il bel libro Marketing Agenda di Giorgio Soffiato e si fa abbagliare da vanity metrics come il numero di follower su Instagram potrebbe preoccuparsi. In realtà avere tanti follower non in sintonia con i valori della marca, e quindi in definitiva con la value proposition di Diesel che non ha mai venduto “solamente” bei jeans e camicie, serve a poco perché ha un legame molto incerto con gli obiettivi di business. Come ricordano anche Kotler e Armstrong nell’ultima edizione del loro Principi di Marketing (appena uscito in edizione italiana), è inutile inseguire il numero di consumer impression se non si riesce a far scattare “quella particolare scintilla fra i consumatori e una pubblicità o una marca”.
Penso che la campagna Diesel Pride abbia acceso ancora una volta quella particolare scintilla che rende la marca rilevante per i suoi consumatori target: bravi!
PS Io adoro Diesel, i suoi prodotti e l’azienda nella quale lavorano tanti miei amici e che è anche lo sponsor della mia squadra del cuore. Penso che questo non abbia però offuscato la mia lucidità di analisi da docente di marketing
Sono completamente d’accordo. Trovo molto più meritevole di fiducia un’azienda che prende una posizione chiara sui grandi temi civili e sociali della contemporaneità rispetto a quelle che non esprimono mai un proprio punto di vista, per paura di perdere followers o infastidire qualcuno. Sono sicuro che una strategia simile sia vincente nel medio-lungo termine, perché determinante nel creare una brand proposition distintiva in un mondo sempre più liquido e indistinto. Personalmente ho iniziato a seguire la pagina di Diesel proprio dopo questo post, grazie per la segnalazione.
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[…] L’arcobaleno non è allora un simbolo scontato, ma al contrario è un simbolo che divide. È per questo che nel complesso sono ancora pochissime le aziende che trasformano il logo nel mese del pride (l’impressione che sia una pratica molto diffusa è probabilmente generata dal fatto che a prendere posizione sono stati soprattutto gruppi molto grandi e visibili): chi lo fa si espone ancora oggi alla disapprovazione di una parte dei clienti e di altri stakeholder rilevanti e subisce spesso addirittura insulti e boicottaggi. Ne avevo scritto anche due anni fa sull’onda della notizia che Diesel aveva perso 14.000 follower IG per aver postato messaggi pro LGBTQ+ (qui l’articolo). […]
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