Scuola e didattica a distanza: la soluzione è l’unbundling

Nella primavera passata svolgendo al Master in Retail Management e Marketing (nella foto alcuni degli allievi) attività didattica solamente on line mi sono reso conto di quanto mi mancassero l’energia che si sprigiona in classe lavorando faccia a faccia dal vivo con un gruppo di giovani entusiasti, la ricchezza del dialogo che si sviluppa in presenza e l’efficacia delle lezioni di marketing sul campo nei negozi e nelle aziende.

Penso che nessuno sia convinto che nella formazione dei giovani la didattica a distanza possa sostituire senza perdite di efficacia quella in presenza, ma questo non vuol dire non riconoscere alcuni dei vantaggi di poter organizzare lezioni e seminari senza i vincoli posti dalle aule e dai trasporti.

Nella didattica dell’edizione in corso del Master Brand Ambassador, che si svolge prevalentemente in presenza, abbiamo così sfruttato i vantaggi del web per arricchire e integrare il programma svolto in aula. Abbiamo ad esempio inserito delle finestre serali nelle quali gli allievi in corso possono confrontarsi con ex allievi al lavoro in aziende diverse, organizzato incontri con manager che avrebbero fatto fatica a raggiungerci di persona data la situazione dei trasporti ancora difficile e lasciato a casa (o al mare) i ragazzi nei venerdì estivi a seguire a distanza le esercitazioni su Excel. Mi sembra innegabile quindi che una didattica blended, che ricombina cioè in modo flessibile docenze e testimonianze on line e off line, è potenzialmente superiore a una didattica solo in presenza.

Naturalmente insegnare a ragazzi di ventiquattro anni è diverso che insegnare a ragazzi di diciassette, come insegnare a questi sarà diverso che insegnare a bambini di otto anni, ma mi risulta poco comprensibile l’opposizione aprioristica che ho visto montare sul web per le proposte di sviluppare anche per la scuola una qualche alternanza tra didattica in presenza e on line. Non voglio entrare nei dettagli delle diverse proposte, ma penso che l’opposizione sia basata su un equivoco.

Quando acquistano il prodotto scuola, infatti, le famiglie ricevono una value proposition composta da due elementi molto diversi proposti in bundle: da un lato l’istruzione dei figli e dall’altro un servizio di baby sitting. Forse è allora il momento per iniziare a riflettere se, come suggeriva più autorevolmente di me Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera il 29 aprile, non sia ora di fare un umbundling dei due servizi progettando due pacchetti di offerta diversi anche se complementari affidati a soggetti diversi con logiche di funzionamento indipendenti.

Liberando la scuola dall’obbligo di fornire il servizio di baby sitting si scoprirà che esistono alternative migliori della scuola “fordista” nella quale si impara solo dentro ai muri delle “fabbriche del sapere” seguendo degli orari standard. Un modello di formazione che bilancia in modo sapiente didattica in presenza e didattica a distanza (ovviamente con metodi e proporzioni molto diverse tra chi ha dieci anni e chi ne ha diciotto) può essere molto efficiente ed efficace, soprattutto per dei giovani destinati a crescere in un mondo in cui tutto, dal lavoro allo shopping, sarà sempre più un blend di fisico e on line.

E’ poi tutta da pensare l’organizzazione del secondo servizio. Offrendo alle famiglie (non ho scritto mamme, perché il compito di accudire i figli spetta ad entrambi i genitori!) un servizio di baby sitting non vincolato da esigenze didattiche ma complementare a queste, si potrà affrontare finalmente anche il problema oggi irrisolto di accudire i figli di chi lavora con orari non standard. Resta naturalmente il tema non banale di decidere come ripartire il finanziamento di questo servizio tra Stato, lavoratori e datori di lavoro.

Mi rendo conto che si tratta di una provocazione radicale, che comporta uno stravolgimento dell’impostazione attuale non semplice da realizzare in tempi brevi. Non mi sfugge inoltre il fatto che c’è da risolvere anche il grosso problema del digital divide tra i ragazzi. Se riteniamo che la scuola sia una priorità (e io ritengo che lo sia), è tempo di investire energie e risorse per cambiare le cose.

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