Le vicende degli ultimi mesi hanno ritardato la pubblicazione di questo post che avevo preparato per commemorare il 28 febbraio la scomparsa (non legata al Covid) di uno dei grandi uomini del retail: Joe Coulombe, il fondatore di Trader Joe’s. Recupero oggi perché penso che la lezione di questo grande imprenditore possa essere utile per i chi si trova impegnato a ripensare i propri punti vendita, in particolare nel settore del food.
Dalle analisi dei punti vendita Trader Joe’s che facciamo ogni anno con gli allievi del mio Master in Retai Management, oltre che dalle interviste a Coulombe (una molto interessante la potete ascoltare qui) e dalla lettura dell’analisi giornalistica che Len Lewis ha dedicato all’azienda una quindicina di anni fa (qui il link al libro), ho ricavato da questo caso almeno quattro lezioni utili:
1. Identifica il target. Uno dei difetti che hanno quasi tutti i supermercati italiani è quello che il marketing considera uno dei peccati capitali: l’ambizione di voler piacere a tutti che si traduce spesso nel non riuscire a entusiasmare nessuno. Trader Joe’s è nato invece con un target ben preciso in testa: il laureato “overeducated and underpaid”, un segmento relativamente piccolo ma in crescita composto, sono le parole di Coulombe, da musicisti, insegnanti, curatori di musei, giornalisti …
2. Differenzia (e focalizza) l’assortimento. L’impostazione di base di Trader Joe’s è quella di un discount (non a caso l’azienda è oggi di proprietà del colosso Aldi): un assortimento focalizzato su poche SKU, principalmente private label, per aumentare le rotazioni e l’efficienza. Il tipico negozio aveva poco più di 1.000 referenza quando Coulombe ha lasciato l’azienda ormai più di trenta anni fa, e ne ha circa 3/4.000 oggi che i negozi sono più grandi.
L’offerta non è però quella essenziale del tipico discount, focalizzato sui prodotti basici con prezzi bassi, ma assomiglia piuttosto a quella di un gourmet store. L’idea di base è infatti quella di offrire a clienti istruiti, curiosi e abituati a confrontarsi con altre culture, la possibilità di assaggiare specialità di paesi diversi (e non mancano le specialità italiane proposte con la private label Trader Giotto’s …). Si potrebbe insomma definire Trader Joe’s quasi un Eataly low cost, anche per quel modo molto “farinettiano” di raccontare i prodotti sugli scaffali.

3. Rendi divertente il supermercato. Come si conciliano un assortimento focalizzato e una varietà da gourmet store? Con il fatto che una quota stimata in circa il venti per cento dell’assortimento ruota continuamente e ogni settimana si aggiungono così alcune decine di referenze di novità evidenziate in punto vendita. Quesi sempre, poi, alcune di queste vengono proposte nel corner dedicato alle degustazioni.
Andare a fare shopping da Trader Joe’s diventa quindi una continua scoperta, una caccia al tesoro, in un’atmosfera giocosa e colorata con grafiche ironiche e personale che indossa la camicia hawaiana.

4. Paga bene i collaboratori. L’atmosfera dei negozi è resa divertente anche dal fatto, inusuale nel discount, che il personale è invitato a interagire con i clienti, ad assaggiare i prodotti e a consigliarli e farli provare. Per avere collaboratori motivati ed efficienti Trader Joe’s dedica da sempre grande attenzione alla gestione delle persone adottando politiche retributive tra le più generose del settore. Nel volume che citato sopra Lewis riporta che uno store manager nel 2005 arrivava a 140.000 dollari annui; il risultato è un tasso di turnover bassissimo che contribuisce a contenere i costi.
Una strategia coerente ed efficace che ha reso Trader Joe’s un vero e proprio lovemark: quanti food retailer in Italia possono dire di aver raggiunto lo stesso risultato?
