Come è cambiata la moda (anche a Giacarta)

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Negozio Biasa a Giacarta

Dall’uscita della nuova edizione del mio libro sul marketing della moda mi trovo spesso a rispondere alla domanda su quale sia il cambiamento più significativo avvenuto nel mondo della moda nei cinque anni di distanza dalla pubblicazione dell’edizione precedente del volume.

Cambiamenti ce ne sono stati tanti, pensiamo agli effetti della digitalizzazione e alla consacrazione della distribuzione diretta. L’evoluzione più significativa è però secondo me la centralità assunta dai valori, dall’etica e dalla responsabilità sociale in un mondo che fino a non molti anni fa tendeva a considerarsi un’isola di frivolezza. Questo fenomeno è visibile già da tempo, ma solo negli ultimi anni è diventato centrale e, soprattutto, non più circoscritto alle élite dei paesi occidentali ma diffuso ormai in modo trasversale anche nei paesi di più recente sviluppo.

Questa considerazione si è rafforzata nel corso di un mio recente viaggio alla scoperta dei negozi più interessanti di Giacarta, dove la comunicazione relativa sia ai prodotti che ai punti vendita evidenzia sempre di più la componente etica del sistema di offerta proposto in relazione tanto all’ambiente quanto alle condizioni di lavoro dei produttori. Non si tratta ancora di una  tendenza generalizzata, ma soprattutto tra i più giovani “essere cool oggi in Indonesia nella classe medio alta e colta significa essere attenti all’ambiente, alla propria spiritualità, al cibo e ad alcuni fattori sociali” mi ha spiegato Susanna Perini, la fondatrice di Biasa, un’azienda protagonista della scena fashion indonesiana e proprietaria di uno dei punti vendita più interessanti del quartiere Kemang a Giacarta. Ecco allora che la prima cosa che si nota appena entrati nel negozio è una borsa (fotografata qui sotto) che ricorda a tutti la gravità del problema dei rifiuti in un paese in rapida crescita come l’Indonesia.

L’attenzione all’ambiente da parte di un’azienda della moda oggi non è più quindi uno sfizio, e le aziende che non ci hanno ancora pensato faranno bene a darsi una mossa.

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5 pensieri riguardo “Come è cambiata la moda (anche a Giacarta)

  1. Secondo me, un’azienda che decide di prestare attenzione all’ambiente in generale, non solo in termini di ecosostenibilità, si pone nelle condizioni migliori per ottenere un vantaggio competitivo rispetto ai suoi concorrenti.

    In questo modo, infatti, l’azienda sta operando un vero e proprio investimento. Inizialmente, come prima conseguenza, si potrebbe avere un aumento dei costi con relativa diminuzione di marginalità. Questo perché si rende necessario, per fare alcuni esempi, pagare adeguatamente i lavoratori e in modo rispettoso della loro dignità, permettendo loro di sostenersi col frutto del loro lavoro; preferire materie prime e processi produttivi rispettosi dell’ambiente ed ecosostenibili; comunicare tutto ciò al consumatore dotandosi delle certificazioni ufficiali per garantire trasparenza.

    In un secondo momento, invece, questa scelta potrebbe essere ripagata da un aumento del valore percepito dai consumatori nei confronti di prodotti che potremmo definire eticamente “buoni”. Infatti, il processo di consumo del prodotto moda o anche più in generale del prodotto lifestyle, perché oggi con il termine moda s’intende qualcosa di più ampio e trasversale rispetto al semplice abbigliamento, è qualcosa di complesso e non si riduce unicamente su base funzionale. Questi prodotti coinvolgono anche la dimensione simbolica, cioè racchiudono e aiutano a esprimere l’identità del consumatore, e quella emotiva, cioè vengono acquistati anche per l’emozione che suscitano nel consumatore.

    Infine c’è da considerare anche la tendenza da parte di chi acquista prodotti di lusso a sentirsi in colpa. Per esempio, una persona che decide di comprare un anello con diamante è spinta all’acquisto da varie motivazioni, fra cui, dal punto di vista emozionale, la gratificazione che può trarre dall’acquisto stesso. Il mercato dei diamanti è una questione delicata poiché, in alcuni casi, i proventi della loro vendita vengono utilizzati per finanziare guerre. Quindi, se un’azienda certifica la provenienza dei suoi diamanti riuscendo a garantire diamanti “conflict free” e li rivende a un prezzo anche superiore rispetto ai concorrenti, l’acquirente del nostro esempio comprerà il suo anello più volentieri. Infatti percepirà un valore maggiore e sarà bendisposto all’acquisto da questa rassicurazione etica.

    Per cui, concludendo, l’attenzione ai valori etici e sociali è qualcosa da cui le aziende che vogliono gestire in modo profittevole le relazioni coi propri clienti non possono prescindere.

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  2. Ogni impresa ha come obiettivo necessario la creazione di valore economico ma affianco ad esso si inseriscono solitamente altri valori che guidano le decisioni e le azioni dell’azienda e che le permettono di differenziarsi dalle altre, i valori ispiratori sono condivisi pubblicamente e raggiungono stakeholder e potenziali nuovi clienti.
    Dal momento in cui nella società inizia ad insediarsi un valore trasversalmente condiviso da un amplio numero di soggetti, difficilmente gli strateghi di marketing potranno evitare di tenerlo in considerazione.
    Questo è a mio parere quello che è successo anche nell’ambito della moda come conseguenza alla centralità assunta dai valori etici e dalla responsabilità sociale.
    Adottare un comportamento socialmente responsabile produce per l’azienda una serie di vantaggi a livello economico; quindi per l’impresa questa dimensione sociale assume un ruolo fondamentale che permette di incrementare il profitto.
    Da quando è aumentata la sensibilità ambientale nella popolazione, l’industria si è adeguata ed oggi la maggior parte delle aziende sono impegnate in qualche modo a sostegno di cause promosse da organizzazioni non governative ed enti di beneficenza.
    Si sente parlare sempre più spesso di responsabilità sociale d’impresa, di green marketing, di moda sostenibile, ecc. ma quello che un po’ maliziosamente mi chiedo è se esiste davvero un reale cambiamento nelle attitudini di consumo dei beni o se la moda sostenibile non sia diventata anch’essa una semplice tendenza utile a rimediare ad una perdita d’immagine causata dalla delocalizzazione o da precedenti scelte compiute dalle aziende che hanno poi portato ad una percezione negativa della marca da parte del consumatore.
    Credo che il consumatore di oggi se pur si definisca critico, non sia ancora in grado di distinguere un reale brand eco sostenibile da uno che si definisce tale. Molto è a mio parere dettato dalle strategie di comunicazione adottate dalle imprese, e di questo né è un esempio quella che viene definita greenwashing (fenomeno che consiste nell’attribuzione impropria da parte delle aziende, di valenze di carattere ambientale che invece non gli spetterebbero).
    In conclusione, credo che un’azienda per definirsi “green” debba mostrare una totale e piena coerenza con questi valori; solo in questo modo il movimento eco-fashion potrebbe diventare uno stile di vita condiviso e non soltanto un trend del momento.

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  3. A distanza di sei anni mi sono occupato di due progetti sulla moda e posso dire che anche per la mia esperienza il cambiamento più rilevante sia quello che riguarda la corporate responsibility. Se nel 2009 poteva essere un tema esplorativo e di successo per le poche iniziative di avanguardia che lo perseguivano, attualmente ogni marchio è chiamato a dover dare risposte su quale è la sua posizione rispetto a tematiche che sono di fatto di interesse pubblico:
    -equità nella gestione dei fornitori,
    -rispetto dei diritti dei lavoratori se localizzati in paesi in via di sviluppo ma anche dei diritti non codificati come forme di welfare aziendale nei paesi del marchio di origine,
    -consumo di risorse non rinnovabili usate nella produzione,
    -utilizzo di materiali che hanno impatti sulla salute e l’ambiente,
    -inquinamento chimico nella produzione e sicurezza dei prodotti finali,
    -trasparenza del proprio operato,
    -valore aggiunto creato per ogni portatore di interesse,
    -apertura a collaborare con organizzazioni portatrici di interessi diffusi su istanze e tematiche sociali e ambientali che sono anche indirettamente influenzate della scelte che l’impresa effettua.

    Fino a circa dieci anni fa le responsabilità sociali e ambientali delle imprese erano limitate alla tutela del non sfruttamento dei lavoratori, a qualche investimento sull’energia rinnovabile per dotarsi di qualche etichetta green e forme esigue di trasparenza sulle attività svolte.
    A titolo di esempio, al rispetto delle condizioni dei lavoratori nell’outsourcing nel sud est asiatico si devono aggiungere il sostegno a iniziative di welfare delle comunità locali, il rispetto di standard di produzione omologati a quelli occidentali e una rendicontazione asseverata di parti terzi dell’impatto sociale apportato. Tutti aspetti che marchi di visibilità internazionale non possono più considerare come iniziative d’immagine, ne tanto meno per gestire i rischi reputazionali che molte ONG e consumatori sempre più influenti nei canali digitali sono pronti a mettere in discussione.

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  4. Le imprese che si orientano al marketing sociale, oltre a perseguire i propri obiettivi di soddisfacimento dei bisogni dei clienti target con la creazione di offerte di valore superiori a quelle della concorrenza, si focalizzano anche sulla tutela degli interessi a lungo termine dei consumatori e della collettività.
    Queste aziende sono ben consapevoli degli effetti sociali ed ambientali dell’attività d’impresa ed hanno quindi come obiettivo ultimo soddisfare le esigenze dei consumatori di oggi senza minare la capacità delle generazioni future di poter soddisfare le proprie.
    Questo orientamento però, non viene adottato dalle imprese solamente in ottica di salvaguardia delle generazioni avvenire ma anche perché, ad esempio, attuando strategie di produzione attente all’ambiente, come potrebbe essere quella di utilizzare per la creazione dei propri prodotti di materiali riciclati, c’è la possibilità di risparmiare.
    Al giorno d’oggi, i consumatori sono sempre più attenti all’ambiente, basti pensare al grande scandalo scoppiato dopo il servizio mandato in onda da un programma televisivo di inchiesta che mostrava come una nota azienda produttrice di abbigliamento, che in seguito si è dichiarata estranea al caso, producesse i propri piumini maltrattando degli animali.
    Per questo motivo, a mio avviso ancora più centrale rispetto al risparmio economico, questo tipo di orientamento offre la possibilità alle aziende di coinvolgere emozionalmente i consumatori, che a causa di ciò si identificano nell’azienda e nei valori etici ai quali si rifà e, in tal maniera, l’impresa riesce a creare con essi una solida relazione profittevole a lungo termine.

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  5. […] 5. Il negozio più interessante: dopo un anno ricco di esplorazioni tra negozi di quattro continenti assegnare il premio in questa categoria è un’impresa ardua perché i retail tour a New York (con il 13° Master in Retail Management e Marketing), Londra e Milano hanno continuato a offrire infiniti stimoli ad appassionati di marketing come me e Manuela. Alla fine scelgo The Goods Dept, negozio lifestyle di Jakarta (ho visitato quello al Pacific Place). Non è il negozio più bello o sorprendente ma mi è stato utile per riflettere su quanto i temi della sostenibilità ambientale e più in generale della responsabilità sociale siano ormai centrali anche nei consumatori di quelli che siamo abituati a chiamare “paesi emergenti” (dallo spunto poi era nato il post che ritrovate qui). […]

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