Se avessi l’occasione di comprare casa a New York oggi sceglierei quasi sicuramente Williamsburg, il quartiere di Brooklyn vicino alla base del ponte omonimo. Certo la mia non è un’aspirazione originale, visto che si tratta in questi anni di una delle aree più vive e dinamiche della città anche dal punto di vista immobiliare, con prezzi degli spazi commerciali quadruplicati nel giro di appena tre-quattro anni e affitti che nella zona centrale di Bedford Avenue toccano i 3.000 dollari al metro quadrato.
Accanto ai negozietti con la tipica atmosfera da Brooklyn stanno così arrivando nel quartiere anche alcuni grandi brand della moda. Ma come entrare nella vita di quest’area, tuttora considerata la capitale mondiale hipster, senza rischiare di stravolgerla e di banalizzarla trasformandola in un’altra replica di vie commerciali come se ne trovano in tante zone della città e del mondo? Diesel ha sperimentato un primo approccio con Williamsburg aprendo nella seconda metà dello scorso anno un punto vendita diretto (temporaneo) che colpiva soprattutto per una scelta singolare: il negozio non aveva l’insegna Diesel ma si chiamava semplicemente 101, dal numero civico di Bedford Avenue occupato dal punto vendita. Nulla, se non ovviamente i prodotti in vendita, segnalava esplicitamente al consumatore che si trattava di negozio dell’azienda vicentina e noi stessi, nel corso del retail tour con gli allievi del Master in Retail Management e Marketing del CUOA, non lo avremmo individuato senza le indicazioni di Tommaso Brusò, CEO di Diesel Nord America da sempre nostra guida nelle trasferte americane. Non solo: a confondere ulteriormente le idee ai visitatori contribuiva il fatto che accanto ad alcuni dei capi iconici Diesel dell’ultima stagione erano in vendita prodotti di artigianato locale come le candele del Brooklyn Candle Studio visibili nella foto qui sopra.
Si trattava come detto di un pop-up store, ma è comunque un esperimento interessante perché consente di riflettere su alcune importanti tendenze in atto da qualche tempo nel mondo del retail: in primo luogo 101 ci ricorda che per un’azienda lifestyle come Diesel un negozio può fare di più che semplicemente gridare il nome della marca. Un negozio serve anche a sperimentare, incuriosire, sorprendere e a fungere da piattaforma per eventi ed esperienze. Il secondo spunto di riflessione riguarda il rapporto tra punto vendita e contesto locale: se una volta si tendeva a mettere a punto un format di negozio per poi replicarlo identico in ogni parte del mondo, oggi la tendenza prevalente è quella di pensare ogni punto vendita in funzione delle caratteristiche dell’area, della via e dell’edificio in cui verrà aperto. I vantaggi per Diesel dell’aver aperto (peraltro solo per qualche mese) un negozio in una zona come Williamsburg non sono infatti legati all’essere riusciti a piantare la propria bandierina in una via emergente ma derivano dall’aver saputo sfruttare per comunicare i valori del brand l’energia emanata dal quartiere valorizzandone i molti elementi di coerenza con il DNA Diesel. Si tratta di una strategia che Diesel segue con intelligenza già da diversi anni e che rende oggi più che mai interessante e impegnativo il lavoro di architetti e store designer
“Frenesia” questa potrebbe essere la parola che sottende il fenomeno dei pop up store. La loro peculiarità è quella di comparire dal nulla e sparire poco tempo dopo e si stanno sviluppando tantissimo anche in Italia. A cosa è dovuto il loro successo? Sicuramente la mancanza di vincoli legislativi, ma non solo, è infatti, quella dei pop-up store una formula che permette di sondare il mercato anche solo per breve tempo, di capire come si muove la domanda in quella particolare città, in quella strada dove è stato aperto, è una sorta di laboratorio temporaneo, che consente al retailer di raccogliere preziose informazioni senza troppi sforzi. Infine ciò che più colpisce è che al cliente piace, infatti entrare in un pop up store da’ la sensazione di partecipare ad un evento unico nel suo genere e comunque irripetibile dato che prima o poi sparirà. I modi di piantare un pop-up store sono molteplici e in questi casi è sempre bene osare, è il caso di Diesel che a Williamsburg ha proposto un temporary store 101 volendo accattivare il cliente con la sola energia dei suoi prodotti, mettendo da parte il brand e cercando di offrire un punto vendita che rispecchiasse perfettamente la tendenza del quartiere. Il caso Diesel ancora una volta ci fa capire come i bisogni del cliente (stanco dei format omologanti) sono al centro dei concept store.
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Mi piace molto questa idea di adattamento dello store al contesto locale in cui si vuole inserire. Penso che l’essere rispettosi dello stile, della cultura, dell’architettura di un preciso luogo sia segno di grande attenzione e, soprattutto, intelligenza.
Diesel è da sempre un brand estremamente creativo e che ha fatto della comunicazione uno dei suoi punti di forza: dalla campagna pubblicitaria di intimo ritenuta “scandalosa” perché girata in una sede universitaria (perlopiù di giurisprudenza), allo slogan “be stupid” inno alla giovinezza, alla spensieratezza, al rischio, al provarci nonostante tutto, all’essere coraggiosi proprio perché impulsivi… e chi meglio di Renzo Rosso può essere bandiera dell’impulsività, lui che ha deciso di vendere jeans negli Usa, patria del prodotto stesso!
Anche in questo caso il fondatore di Diesel ha saputo dimostrare di riuscire sempre a pensare senza porsi dei confini, aprendo uno store, solo per pochi mesi, in uno dei quartieri emergenti per la moda di New York, giusto per sondare il terreno, per comprendere le reali potenzialità di questa location, così bella, dinamica, particolare. Ha voluto che fossero i prodotti in vendita a parlare non l’insegna o il nome stesso del brand, ha voluto che vi fosse qualcosa di diverso a spingere il cliente ad entrare nel negozio, principalmente la curiosità.
Renzo Rosso ha sempre cercato di agire distaccandosi da quelli che sono i dettami del marketing tradizionale, il cliente, infatti, deve avere un legame con il brand, con quello che esso vuole comunicare, non deve essere soltanto spinto dalla necessità di possedere un prodotto.
Inoltre, trovo funzionale anche l’aver voluto inserire, all’interno del Punto vendita, prodotti che si rifacessero al luogo in cui si trova lo store, parlo quindi delle candele del Brooklin Candle Studio. Un modo, sicuramente, per confondere le idee al cliente, ma anche per cercare un ulteriore filo comune che potesse radicare ancora di più lo store all’interno dell’area in cui si è posizionato.
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Leggendo del pop-up store aperto da Renzo Rosso nell’esclusivo distretto di Brooklyn, non ho potuto fare a meno di pensare al geomarketing e alla crescente diffusione tra le aziende di una strategia commerciale di segmentazione sempre più volta alla disintermediazione e alla creazione di un rapporto diretto con i client consumers, che parta dalla loro realtà concreta e dal vissuto quotidiano e ne vada a riconoscere i bisogni le unicità generate dalla cultura locale. Conoscere lo stile di vita, il mood che abita le persone per poi proporsi con una soluzione retail che sappia evidenziarne i punti di congiunzione è infatti una delle chiavi di successo per facilitare l’immedesimarsi del cliente nel brand. Del resto, lo stile casual, metropolitano e sempre fashion della piccola azienda vicentina di Renzo Rosso ha fin dagli albori avuto una vocazione a guardare a mio parere più oltreoceano, e proprio questo fascino cosmopolitan e la proposta di uno stile forte, sicuro, libero, anche sfacciato, lo ha portato ad affermarsi con brand della jeanseria fashion tra i più conosciuti nel mondo. In questo caso, l’abbinamento con prodotti dell’artigianato locale e la stessa scelta dell’insegna con il solo numero civico, semplice e descrittiva del luogo, mostra il coraggio di Diesel: nonostante il marchio ormai abbia fama internazionale, esso vuole proporsi non mettendo il brand al primo posto ma lasciando parlare il prodotto, che il consumatore può incontrare e assaporare associandolo ad altri artefatti locali, sentendolo quindi vicino e parte del proprio bagaglio di esperienze.
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Camilla Bordignon 2 anno TEM
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Oggi (sabato 13 giugno), sfogliando le pagine del Corriere della Sera, mi sono imbattuto per caso in un articolo all’interno della rubrica “Tempiliberi” (rubrica di viaggi, benessere, food, moda…) e non ho potuto fare a meno di ricordarmi di questo post sulla Diesel e sul sua neo-politica del Pop-up Retail.
Innanzitutto vorrei precisare che il Pop-up store (o Pop-up retail o italianizzato in “Negozio a Tempo”) è una nuova forma di retail, la quale prevede un esercizio del punto vendita in maniera temporanea, la cui durata puoi variare da giorni a mesi. In parole povere, si tratta di una vendita al dettaglio breve ed efficace, cosciente della moda imperante nel luogo in cui il punto vendita approda, per piegare la stessa tendenza al proprio brand.
Vorrei usare l’espressione calzante del pugile Alì: “Vola come una farfalla, pungi come un’ape”.
L’articolo del Corriere descrive la nuova popolazione che abita le zone di Brooklyn “gentrificate” (=rivalutate, come appunto quella di Williamsburg), si parla di Yuccie (in alcuni casi di Millennials): una sintesi tra yuppie e hipster; [citando il quotidiano] “come i primi vogliono avere il successo, ma senza perdere la spinta creativa, caratteristica dei secondi, ipertecnologici, modaioli, iperconnessi…”. Questa tendenza giovanile non è estranea all’Italia. Un esempio milanese può suggerire il collegamento tra Diesel e questa nuova tribù: [citando il quotidiano] “Prendiamo Milano, in via Paolo Sarpi 8 c’è un locale che ha aperto un paio di mesi fa: si chiama Otto, perché ormai si brandizza anche il numero civico da solo […] lo rimprovera: <> “.
Possiamo quindi ritrovare il filo rosso che collega il tutto: l’entrata della Diesel all’interno della capitale degli Hipster (o meglio Yuccie) grazie a questa tendenza decisamente più consona al “Dna Diesel” (moda per i “lupi di città”), l’insegna anonima simboleggiata solo dal numero civico, la vendita di prodotti dell’artigianato locale al simbolo del credo yuccista della Sharing Economy, infine la segretezza della location per catturare la tendenza alla ricercatezza.
Amedeo Andriollo 2° anno TEM
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Questa strategia di Diesel ci dimostra come oggi la location sia una delle leve più importanti del retaling mix. Diesel non ha scelto di esporre l’insegna del negozio e di dichiarare quale brand ci fosse dietro a questa trovata ma la frequentata location assicura comunque una buona pedonabilità e soprattutto va a soddisfare il desiderio di caccia al tesoro (anche se in modo diverso da come lo abbiano trattato a lezione ossia la ricerca dell’occasione in termini di prezzo) oggi molto visibile nei consumatori, che sono sempre più “giocherelloni ” e desiderano un maggior coinvolgimento. Come sottolineato nell’articolo il negozio incuriosisce i passanti e offre dei contenuti esperienziali notevoli: il cliente può andare a casa e raccontare ad amici e famiglia ma anche condividere sui social di aver scoperto quale brand si celava dietro il misterioso punto vendita. Tutto ciò mi ricorda molto un’azione di pr (pubbliche relazioni). Infatti se il negozio fosse stato un tipico punto vendita Diesel ora non ne staremo parlando su questo blog. Diesel ha colto uno degli aspetti principali dello store design: invece di puntare su negozi standardizzati per atmosfera e caratteristiche ha progettato i punti di vendita cercando di mantenere l’autenticità del brand. Infine l’azienda segnala ancora una volta quale sia il suo mercato obiettivo (una clientela cerebralmente giovane che può trovare divertimento in questa ricerca del brand autore della trovata non convenzionale e che frequenta questo quartiere vivo e dinamico).
Anita Cezza, 2 anno TEM
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