Non chiamateli commessi

Cosa pensa una mamma italiana se scopre che il figlio di un’amica dopo la laurea ha trovato lavoro all’interno di un punto vendita della moda? Molto probabilmente si domanderà come mai il poveretto dopo aver tanto studiato sia “finito a fare il commesso” e si augurerà che il proprio figlio riesca a sottrarsi a questa sorte, magari raggiungendo il prestigioso status di bancario. Del resto non serviva mica studiare per anni solo per andare avanti e indietro dal magazzino portando le scarpe che il cliente vuole provare! Questo modo di pensare aveva certamente un senso una trentina di anni fa, ma oggi può rappresentare uno degli ostacoli che impediscono a giovani di talento di orientarsi verso percorsi professionali remunerativi in termini economici e di soddisfazioni professionali.

Da anni assistiamo a una crescita di importanza della distribuzione retail nella strategia delle aziende, a partire da quelle dei prodotti fashion e lifestyle. Questa crescita non si è tradotta solo in aumento del numero di negozi aperti, ma ha comportato una forte evoluzione anche dal punto di vista qualitativo dell’organizzazione dei punti vendita e dei contenuti professionali dei mestieri della vendita.

Prendiamo ad esempio un punto vendita come il flagship Louis Vuitton di via Montenapoleone a Milano. Non si tratta propriamente di un negozietto, visto che la superficie di vendita si sviluppa su tre piani. Pochi però saprebbero indovinare che allo store manager di questo negozio rispondono più di ottanta persone. Se in un certo senso è quasi scontato che il responsabile di un punto vendita così grande e prestigioso sia un manager a tutto tondo, meno conosciuti sono i mestieri di chi risponde a lui e il fatto che non si tratti di ruoli dedicati “solamente” alle attività di vendita in senso stretto.

La maggior parte dei riporti allo store manager, infatti, è costituita da ruoli ricchi di contenuti manageriali, a partire dai sales manager, uno per ogni categoria di prodotto, ognuno dei quali ha responsabilità diretta sia sul conto economico della categoria che sulla gestione di una decina di persone che se ne occupano. Se in altre catene la gestione delle risorse umane è una leva gestita in modo accentrato, dalla sede o al massimo dal responsabile del punto vendita, nel gruppo francese il responsabile della categoria non solo ha un ruolo di coach e di coordinatore delle persone del reparto, ma svolge un ruolo attivo nel declinare in punto vendita le politiche di gestione delle risorse umane.

Il ruolo di sales manager può inoltre rappresentare il trampolino di lancio per carriere internazionali visto che l’azienda favorisce la job rotation tra i talenti della vendita che lavorano nei suoi negozi sparsi per tutto il mondo per consentire la  crescita professionale che deriva da un confronto costante con colleghi che lavorano in paesi diversi e clienti di diverse nazionalità.

Naturalmente non tutte le aziende hanno un modello organizzativo sofisticato come quello di Louis Vuitton, ma questo è un esempio che aiuta a capire quanto inadeguata sia la visione ancora prevalente in molte famiglie di cosa faccia oggi chi lavora in un punto vendita della moda e come si tratti di un mestiere stimolante per un giovane laureato. Vogliamo ancora chiamarli commessi?

17 pensieri riguardo “Non chiamateli commessi

  1. Sebbene il mondo del retail italiano nell’ultimo decennio abbia compiuto passi in avanti, in linea di massima il fenomeno in Europa si evolve sulla scia di quello Statunitense.
    Considerando i parametri densità di retailers e loro superficie media, la differenza si sente eccome!
    In effetti la classifica dei top 20 grandi retailers nel mondo non vede la presenza di nessuna Italian company, ne risulta un’immagine di scarsa rilevanza e “apperente” minor fascino per il Bel Paese.
    Come H.Ford con il modello T, Sam Walton ha rivoluzionato il mondo del retail.
    Se nella prima metà del secolo scorso, la produzione standardizzata e l’accaparramento di quote nel mercato di massa rappresentavano fonti di guadagno, oggi, con la saturazione dei mercati ciò che è importante non è produrre ma ASCOLTARE,COMUNICARE e VENDERE.
    Il focus si è spostato,pertanto, sulle fasi finali della catena del valore.
    Questo insieme di attività unite alla CRM, vengono gestite dai retailers che potremmo definire:
    “recettori” nel sistema ambiente (ascoltano e osservano) ,i bigliettini da visita distribuiti nel mondo per i grandi brand del lusso ( comunicano) , fari che fanno luce sul mercato(supportano il top management) e il motore che spinge le aziende a fatturare (vendono).
    Soprattutto nel fashion l’esigenza è quella di cogliere i trend di mercato e le nuove esigenze di consumo.
    A chi affidare questo ruolo se non hai retailers? Sono loro che essendo distribuiti sul territorio conoscono il cliente, lo monitorano e vi stringono la mano quotidianamente dopo ogni acquisto.
    L’idea di vedere i retailers come mere unità operative alla base della struttura piramidale tipica di un’azienda viene a perdersi allorchè ci si accorge che, spesso al contrario, decisioni di vertice e cambiamenti nelle intenzioni strategiche sono dettate da intuizioni originali di alcuni tizi che le mamme reputano “commessi”.
    L’importanza di queste figure giovani neo laureate inserite nel retailer management è stata colta in primis negli States.
    Ai retailer managers viene data sempre di più responsabilità sin dall’inizio della loro carriera con la possibilità di lavorare in un ambiente dinamico e far carriera velocemente.
    Gli starting salaries per un giovane laureato sono compresi tra i 35.000 e i 55.000 $ per una trainee position.
    Dopo aver completato il periodo di inserimento se hanno buone performance il loro salario iniziale raddoppia nel giro di 3-5 anni.
    I Senior Buyer e le altre posizioni manageriali (es: Store Managers) arrivano a guadagnare dai 120 ai 160 mila dollari annui.
    Beh visto che lavorare nel settore finanziario in fondo non mi ha mai entusiasmato credo che una volta completati gli studi probabilmente dirò a mamma: “Vado a lavorare nella banca del nuovo millennio: la retail industry!”

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  2. Molto spesso, purtroppo, si pensa che trovar lavoro all’interno di un punto vendita, sia questo del settore moda, alimentare, sport, tempo libero o quant’altro, non sia poi così degno a gratificare tanti anni di studio. Ma siamo davvero sicuri che quel “poveretto” si limiterà a far provare scarpe ai clienti?
    I retailer cercano sempre più persone competenti per ricoprire tutta una serie di attività che poco hanno a che fare con il ruolo di “semplice commesso”. In particolare il modello organizzativo di Louis Vuitton richiede competenze qualificate: e chi se non un neolaureato potrebbe essere soddisfatto dalla possibilità di mettere in pratica le teorie studiate durante il proprio percorso di studi?
    La crescita dell’importanza della distribuzione retail nella strategia delle aziende richiede ai nuovi assunti competenze finanziarie, contabili, organizzative, capacità nella gestione della supply chain, delle risorse umane oltre che a capacità di problem solving, velocità di pensiero e azione. L’assunzione all’interno di un punto vendita diventa allora un percorso professionale stimolante dal punto di vista personale ma probabilmente anche dal punto di vista remunerativo.
    Infine va sottolineato che, se il nuovo assunto è ad esempio una giovane laureata con una particolare passione per il brand Louis Vuitton e i suoi prodotti, questo certamente gioverà alla sua performance oltre che alla sua motivazione a lavorare per un’azienda che ama e che conosce molto bene! Questo vale per qualsiasi altra azienda di qualsiasi altro settore: la passione è certamente quell’ingrediente necessario ad ottenere un valore aggiunto oltre che per sé anche nella capacità di svolgere la propria mansione.

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  3. Questo modo di pensare oltre ad essere abbastanza retrogrado, è a mio parere abbastanza italiano.
    Avendo analizzato il caso Decathlon (francese al pari di LVMH) emerge un elemento che accomuna le due aziende ed il loro modo di organizzare la distribuzione: i ruoli basilari dell’organizzazione commerciale vanno a coprire diversi compiti e responsabilità che si spingono ben oltre le mansioni del semplice commesso, cambiandone ed ampliandone la concezione. Allargando il discorso ad altri esempi possiamo vedere senza fatica che i francesi sono maestri nella GD (oltre Decathlon, Auchan, Carrefour, Leroy Merlin, per citarne alcuni). Questa leadership (condivisa con altre aziende perlopiù statunitensi) deriva probabilmente anche dal fatto che in Francia, a nostra differenza, hanno già compiuto un grande salto di qualità in merito al modo di concepire le pratiche del retail e di conseguenza i ruoli ad esso connessi, riuscendo ad esportare format distributivi che si rivelano vincenti anche oltreconfine. A questo punto,visto il ritardo accusato dal settore distributivo italiano, sorge il dubbio che questo tipo di visione riportata dall’articolo, eccessivamente rigida, costituisca un ulteriore freno per l’espansione del settore rispetto ad altre nazioni.
    Una maggiore flessibilità nel modo di pensare del singolo, adeguatamente incentivato da possibilità di “fare carriera”, potrebbe produrre dei benefici per le modalità organizzative del retail italiano e di conseguenza per il suo successo?

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  4. Capire il cliente, cosa si vende e come farlo rimane comunque la base del successo per ogni retailer. Per continuare con l’esempio di LV, vendere è una prerogativa di tutti all’interno del punto vendita, qualsiasi sia la posizione ricoperta. Affinchè la vendita sia effettuata in modo corretto, l’ azienda organizza costantemente training incentrati su come offrire un servizio eccellente nel settore del lusso e sulle specificità dei singoli prodotti, nonché corsi indirizzati esclusivamente agli store e sales manager relativi a come organizzare il business plan annuale e a come gestire il proprio team. Un punto fondamentale dell’attività di un direttore di negozio è infatti la gestione della motivazione del personale all’interno del punto vendita, specie se, come in questo caso, è così numeroso. La leva utilizzata da LV non è quella della retribuzione: a differenza della maggioranza dei retailer del lusso, lo stipendio dei suoi venditori non comprende una parte variabile connessa alle vendite da loro concluse. Il focus dell’azienda si sposta dal singolo al gruppo per quanto riguarda la motivazione di breve periodo, fissando obiettivi di fatturato e di pezzi venduti a livello di store. Per quanto riguarda la motivazione a lungo termine, l’azienda offre la possibilità ai propri dipendenti di intraprendere percorsi di carriera incentrati sulla singola categoria (diventando Expert) oppure sulla crescita di tipo manageriale. A rendere più vero e tangibile il sogno di crescere all’interno di un’azienda con un marchio così prestigioso, nonché a rafforzare il senso di identità dei dipendenti, il bimestrale aziendale “La Lettre” pubblica spesso interviste a store o sales manager che raccontano la loro esperienza.

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  5. L a qualità del servizio offerto dal personale del punto di vendita è una importante leva del retailing mix che, se usata correttamente, può assicurare al retailer un’ottima leva di differenziazione. A tal proposito mi sembra interessante citare il caso Zara che, dopo aver imposto un cambiamento epocale nel settore della moda inventando il mondo del “fast fashion”, nei negozi delle più importanti città offre ai propri clienti la possibilità di usufruire (nei giorni e negli orari stabiliti dal punto vendita) dei consigli di un Personal Shopper. Il servizio, che oltretutto è offerto gratuitamente, rappresenta una controtendenza per il settore di riferimento in cui il personale del punto vendita è principalmente impiegato in attività legate al riassortimento e alla sistemazione della merce. Con questa iniziativa è possibile offrire al cliente il prodotto Zara, che non subisce variazioni di prezzo e al tempo stesso offrire un’esperienza del tutto nuova: è poco probabile infatti che il cliente medio di Zara abbia mai vissuto un’esperienza simile, tipica delle boutiques del lusso. Inoltre si favorisce il cross-selling e l’incremento dello scontrino medio in quanto è molto probabile che il personal shopper proponga abbinamenti che non sarebbero stati presi in considerazione dal cliente che sceglie autonomamente.

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  6. A mio modesto parere non demonizzerei in maniera netta l’atteggiamento diffidente verso le nuove figure lavorative che sono state create ultimamente, per il fatto che è frequente trovare nel mercato del lavoro odierno situazioni in cui il neolaureato viene sfruttato come un asino e dove la sua “carota” è un’occupazione stabile.
    Da notare anche che questa condizione non è solamente italiana, basta ricordare infatti la morte del giovane stagista a Londra dopo 70 ore di lavoro in una nota banca d’affari.
    Con questa mia idea non metto in dubbio il fatto che Louis Vuitton abbia della meritocrazia e della promozione interna un suo valore centrale, ma non vorrei generalizzare in positivo e dire che in tutte le grandi catene del retail ci sia questa mentalità.
    Per esperienza diretta posso dire che molte volte i neolaureati fanno i commessi “alla vecchia maniera” poichè sono in condizioni economiche difficili, oppure perchè i superiori diretti vedono molte il neolaureato come un ambizioso che non vede l’ora di fargli le scarpe.

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  7. In merito a questa discussione posso portare l’esperienza reale di una “commessa” del negozio LV di Venezia, che conosco tramite amici comuni.
    Lei è una persona molto dinamica, creativa, ha mille interessi dalla moda, alla musica, all’arte in genere e conosce perfettamente 4 lingue. La cosa però che mi ha sorpreso di più è stata la modalità della sua assunzione; di solito infatti si mandano i curricula a decine di aziende, sperando che qualcuno almeno ti richiami per un colloquio e invece nel suo caso, è stata la stessa LV a cercare lei.
    Al tempo infatti lei lavorava per un’altra famosa griffe a Venezia; un giorno entra per fare shopping nel suo negozio il responsabile LV di Venezia, il quale, avendo apprezzato la sua disponibilità e intraprendenza nel servizio al cliente, le consiglia di presentarsi per un colloquio e poco tempo dopo viene assunta. Questo però non è un caso raro, anzi, sempre più spesso nel mondo della moda e non solo le grandi aziende tendono a rubare i talenti alla concorrenza, sapendo di poter offrire una posizione prestigiosa in un ambiente stimolante, mai uguale a sé stesso e in continua evoluzione. È infatti sbagliato sottovalutare la posizione di “commesso”; posizione che invece dà l’opportunità di accrescere e potenziare la propria capacità di adattamento, di problem solving nonché le proprie competenze, offrendo inoltre prospettive di carriera all’interno dell’azienda.
    Proprio per questo motivo la politica di LV è quella di fidelizzare i propri dipendenti, coccolandoli con numerosi benefit, dal ticket restaurant, al buono settimanale per un trattamento dal parrucchiere e allo sconto del 50% su tutti i prodotti LV.
    Certo, in contropartita il contratto implica massima flessibilità; ciò significa che in caso di necessità, ad esempio per mancanza di personale per malattia, l’azienda possa chiedere il trasferimento di un dipendente in un altro punto vendita per un certo periodo di tempo (spese di vitto, alloggio e trasporto totalmente a carico di LV), senza possibilità di opposizione da parte dello stesso dipendente…ecco però in questo caso, lavorare per qualche settimana nel negozio LV in via Montenapoleone a Milano o in via Condotti a Roma, non lo vedrei esattamente come un sacrificio, bensì come un’ulteriore opportunità!

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    1. A proposito di fringe benefits, questa settimana il settimanale “Il Mondo” ha riportato in un articolo il sistema di welfare innovativo messo in atto da alcune aziende tra cui Gucci. L’azienda infatti, oltre all’assistenza sanitaria e alla previdenza integrativa, offre ai suoi 1500 dipendenti un budget di €300 spendibili in istruzione, babysitter, badante o sport e paga il 50% della retta dell’asilo nido per i figli. Questo sistema è estremamente flessibile e si adatta alle diverse esigenze dei dipendenti grazie alle indagini di geomarketing effettuate e continuamente informate; pertanto aumenta la soddisfazione dei dipendenti e anche il loro potere d’acquisto, poiché tali benefit, rispetto all’aumento in busta paga, non sono soggetti a tassazione.

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  8. Il sales manager è la figura chiave delle moderne organizzazioni commerciali al quale è richiesta l’attuazione in pratica della strategia aziendale ma anche il supporto alla forza vendita. È una figura che deve avere doti da leader affiancati a una capacità comunicativa e di relazione non indifferenti. Il sales manager deve essere sempre aggiornato e all’avanguardia per quanto riguarda le nuove tecnologie di supporto alle attività di vendita, una figura multitasking che deve avere la capacità di gestire, collaborare e creare un vero e proprio team work!

    È una persona preziosa per l’azienda perché è chi realmente frequenta tutti i giorni il punto vendita e conosce perfettamente ciò che è importante modificare, cambiare o aggiungere in un negozio di retail. Questo tipo di manager non deve semplicemente gestire delle persone “sotto di se” ma mette lui stesso in pratica la capacità di rapportarsi con i clienti, cercando di capire come questi possono essere attratti maggiormente e come creare un rapporto di fiducia duraturo; è colui che inoltre deve pianificare tutte le attività di vendita e le strategie di negoziazione.

    Possiamo notare quindi che il sales manager non è un semplice commesso ma è una persona che deve avere delle doti ”innate” in tutti questi campi oltre che anni e anni di studio e pratica sul campo. Non è sicuramente un lavoro per chiunque e non a tutti piace certamente, ma dal mio punto di vista è un lavoro nuovo sempre diverso e con molte sfide da affrontare. Un lavoro accattivante che potrebbe attirare molti giovani poiché permette di avere collegamenti con svariate sedi estere dell’azienda e perché no magari proficui e molto interessanti professionalmente trasfermenti all’estero!

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  9. Quanto detto oggi in classe, in seguito alla presentazione dell’azienda Decathlon, è la prova che i commessi di oggi non sono più quelli di trenta anni fa e hanno compiti molto differenti. Gli addetti vendita di oggi sono molto attivi all’interno del punto vendita: si prendono responsabilità, cercano di conoscere e identificare al meglio la clientela, suggeriscono idee o soluzioni al loro capo reparto e soprattutto trasmettono ai clienti i valori dell’azienda. Questa loro partecipazione alla vita aziendale fin da subito sicuramente è molto stimolante ed è un ottima occasione per mettere in pratica quello che si è studiato e appreso fino a quel momento. E’ proprio attraverso questi incarichi che si conosce in modo più approfondito l’ambiente in cui si lavora e i prodotti che vengono venduti, cosa che è per l’appunto fondamentale per svolgere un ruolo di maggiore importanza. La crescita interna del personale infatti è una tematica molto cara e importante a aziende come Decathlon ,Ikea, P&G ( conosciute più approfonditamente in classe) e tante altre.

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  10. Indubbiamente, è impossibile affermare come il ruolo dei commessi oggi sia da intendere come in passato; ma nel fare questa affermazione mi riferisco, però, solamente ai negozi dei grandi brand, come Louis Vuitton o molti altri, nei quali i dipendenti non si limitano solamente a sistemare i prodotti sugli scaffali ma fanno molto di più (si pensi a quanto possa essere diversa la shop experience in una boutique rispetto a quella in un “comune” negozio).
    Per quanto riguarda gli altri PdV, le cose, a mio parere, sono sì in parte cambiate, ma non in modo radicale come per gli store del lusso.

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  11. I tempi sono cambiati e, come al solito, non riusciamo a stare al passo. Molti mestieri sono scomparsi, altri sono stati riconiugati. E’ il caso del ruolo del commesso nel negozio di alta moda, non più semplice commesso. Nell’accezione comune lo shop assistant è, infatti, colui che si limita ad aiutare il cliente nella sua esperienza di acquisto, cercando di renderla il più confortevole e coinvolgente possibile a seconda delle caratteristiche del punto vendita. Oggi tuttavia questa figura ha subito un importante riqualificazione, soprattutto in determinati store ( in particolare nell’ambito dell’alta moda); sono spesso dei veri e propri sales manager. Hanno molte più responsabilità, decidono insieme alla direzione aziendale e al responsabile marketing le strategie commerciali per il successo dell’intero business. In più sono responsabili dell’andamento delle vendite e devono quindi organizzare l’attività di commercializzazione dei prodotti affinchè i risultati siano soddisfacenti. Pertanto è ragionevole pensare come il più delle volte, per ricoprire un ruolo di questa complessità, le azienda richiedano una buona formazione accademica che consiste anche in una laurea in economia e capacità di leadership per poter guidare il team di collaboratori che gli sarà eventualmente affidato. E’ dunque una figura di tutto rispetto, come del resto tutte le altre, ma di cui varrebbe la pena riconsiderarne la difficoltà.

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  12. Sicuramente ha ragione sul fatto che lavorare da “commessi” alla Louis Vuitton non è solo sistemare le merci negli scaffali ma molto si più. Ma non tutte le imprese offrono questo tipo di percorso di crescita professionale ove da addetto alle vendite puoi diventare anche un top manager. Secondo me solo i più grandi marchi hanno sviluppato questa forma di retail, se si va a vedere la classifica delle imprese più sviluppate in questo momento notiamo sicuramente l’assenza di marchi italiani nelle prime posizioni soprattutto perché ancora non si è sviluppata la nuova idea di retail che invece si vede in tante imprese estere. Quindi secondo me il fatto che in Italia non siamo indietro nello sviluppo del retail è dovuto soprattutto dalla nostra mentalità e l’esempio più tipico è proprio quello descritto in questo articolo cioè quello che definiamo ancora commesso chi lavora in alcuni tipi di negozi e così come lo può pensare un genitore lo pensano anche i nostri manager.. Ora sembra che alcuni manager italiani abbiano capito l’errore ma secondo me tardi rispetto alle imprese estere e si dimostra sempre che l’Italia è sempre un passo indietro rispetto agli altri Paesi più sviluppati al mondo.

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  13. Ho sentito di imprese estere che ti assumono anche solo dopo la laurea triennale, e ti insegnano la cultura aziendale dandoti subito responsabilità “da manager”, formandoti con master e corsi dedicati. Raramente ho sentito, da quando ho cominciato ad interessarmi al mondo del lavoro, di persone che appena finito il corso di studi, hanno cominciato a fare i consulenti o si sono accaparrate, come sperano molti dei nostri genitori, un “bel posto in banca”.
    Effettivamente la situazione, rispetto a qualche decennio addietro, è cambiata: prima con una laurea avevi tutte le porte aperte:. Eppure c’è da chiedersi: è davvero sbagliato cominciare ricropendo ruoli all’apparenza meno “impegnati” nonostante la preparazione fornita da un corso di laurea? Io dico di no. Secondo me in relazione all’organizzazione che adottano certe grandi multinazionali, certe occupazioni, per quanto bistrattate da una cultura che definisco, alle volte, arretrata (o semplicemente diversa perchè abituata ad altre dinamiche del mondo del lavoro, dinamiche che oggi sono quasi del tutto scomparse) offrono una notevole base formativa e delle competenze che spesso hanno un ruolo chiave, fondamentali per ambire a risultati più importanti.

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  14. ma vi auto convincete o vi fate infinocchiare???
    leggo con attenzione ed interesse. mi cadono le braccia sui vostri commenti. LHV è una cosa, Gucci anche. dietro tutto il resto. sono due mondi diversi.
    capisco che si voglia trovare giustificazione a tutto, ma che un laureato faccia il commesso è puro paradosso. Se è vero che per fare il manager di grandi catene e negozi è senza dubbio utile/necessaria una laurea, per fare il commesso no!! non c’è bisogno di una laurea, sapere le lingue in negozi dell’alta moda di grandi città è fondamentale ed è qualificante. Però questo è l’unico titolo, non serve una laurea per avere una brillante carriera nei negozi della grande distribuzione come “sales manager”
    ma non facciamoci prendere in giro: tutto quello che ti insegnano non ha nulla a che vedere con i corsi di laurea e non sono certo grandi concetti. cortesia, disponibilità, sorriso, passione, gestire le persone che “lavorano per te” nel “tuo team”, saper fare i conti, sono doti base e non serve avere una laurea.
    quindi non fatevi confondere da termini inglesi e altisonanti aggettivi: commessi siamo e commessi restiamo. Sales manager….. abbassa il titolo ed alza la paga!!
    Mio padre lavorava come operaio in azienda metalmeccanica: lunedi venerdi. 8-18 per 35 anni. sabato e domenica e le feste libere. mio fratello ingegnere impiegato presso una azienda replica quello di mio padre. (qualifica + alta ma stesso stipendio, è il mercato che si fa + spietato)
    io da “sales manager” lavoro sempre e la mia vita è in mano alle multinazionali che con l’organizzazione del lavoro moderno ti indorano la pillola. sono il manager del negozio, il vice direttore, risultato: faccio lo schiavo e prendo 190€ al mese in + rispetto ai giovincelli interinali.
    mi ripete mio padre: ho fatto una vita di sacrifici per farti stare meglio di me…. non solo guadagni poco + di me in rapporto, ma fai anche una vita da schiavo!
    Direte: tempi cambiano e siamo tutti sulla stessa barca. sono d’accordo con voi.
    ma per favore non venitemi a dire che in posti come decathlon, HM, zara, benetton, ovviesse, etc etc puoi diventare il capo del mondo con una laurea e lavorando come commesso, anzi no, scusate sales manager!!!
    i manager sono il 10% sul totale. fatevi due conti ed aprite gli occhi!!
    Buona domenica e chi le ha!!

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