Tra le tante cause diverse che hanno determinato il rallentamento del mercato del lusso rilevato nell’ultimo rapporto di Bain in collaborazione con Altagamma pubblicato qualche settimana fa, ne voglio sottolineare una che emerge dai numeri presentati in questi giorni da alcuni player del sistema moda.
Diversi brand che si trovano nella parte più bassa del mercato in termini di posizionamento di prezzo hanno lavorato sulla qualità dell’offerta e vengono quindi percepiti dai consumatori sempre meno come delle alternative povere ai brand più prestigiosi.
È il caso di Uniqlo, che con il balzo in borsa compiuto quest’anno ha permesso al suo azionista di riferimento Tadashi Yanai di diventare il 30° uomo più ricco del mondo, ma anche di OVS, che ha presentato la scorsa settimana un’ottima trimestrale con vendite in crescita del 12,8% (e un EBITDA balzato del 31,7%) e di Zara, con la casa madre Inditex che un paio di settimane fa ha presentato una trimestrale con un robusto +7,1% del fatturato globale.
Questi brand hanno continuato a lavorare sul contenuto moda, con negozi come quelli di Zara o Piombo (brand di OVS) che sembrano decisamente più boutique che negozi fast fashion, ma (ed è questo l’aspetto che mi sembra più interessante) anche sulla qualità intrinseca per allontanarsi dall’immagine di moda usa e getta.
Non sto ovviamente sostenendo che Zara o OVS hanno annullato il gap con brand come Zegna o Hermès, ma pià semplicemente che l’asticella negli ultimi anni si è alzata, e che quindi convincere il consumatore a sborsare dieci/venti volte tanto per un prodotto griffato è diventato oggi più difficile rispetto al passato. Qualcuno ci riesce ancora bene, ma qualcuno è alla ricerca di una ridefinizione della value proposition perché la gloria passata non è più sufficiente a conquistare il cuore del consumatore.