La scorsa settimana visitando Ginza Six, il nuovo tempio del lusso di Tokyo che ha aperto qualche mese fa sulle ceneri dello storico department store Matsuzakaya, sono stato colto da un terribile dubbio: è divertente venire a fare shopping in questi centri?
Certo, l’offerta di negozi e prodotti è ricchissima, con brand che vanno da Valentino a Jimmy Choo, da Rag & Bone a Margiela, da Diesel a Denham. Certamente bello è il progetto dell’archistar Yoshio Taniguchi (anche se il risultato a mio parere è meno emozionante di quello ottenuto dal team di architetti che ha lavorato alla Rinascente Tritone che ho descritto qui) e poi non ho saputo resistere alla tentazione di fotografarmi con le zucche giganti opera dell’artista Yayoi Kusuma appese all’interno dell’edificio. L’impressione generale è però che si tratti semplicemente dell’ennesima collezione di negozi quasi perfetti ma una collezione più o meno uguale a quella vista tante altre volte in tante altre città del mondo.
Pensavo questo fino a che la mia esplorazione mi ha portato al sesto piano dove oltre a una ricca food court ho trovato il negozio più coinvolgente: una stupenda libreria Tsutaya Books piena di libri da leggere e sfogliare a disposizione dei curiosi (per quelli più preziosi il negozio fornisce di fianco al libro dei guanti bianchi da usare per non rischiare di rovinarlo) e incentrata su una scenografica grande sala per la lettura che la rende più simile a una biblioteca che a una semplice libreria. Si tratta non a caso anche del piano più affollato dell’edificio.
Che siano proprio i vecchi libri (oltre al food, ovviamente) un’arma vincente per ridare energia ai templi del lusso?
Mi piace pensare che l’affollamenfo riscontrato al piano “libreria” sia un’ulteriore conferma del cambiamento che sta attraversando il consumatore: gratificazione personale (leggere un libro consente di appagarsi senza rendere necessaria alcuna ostentazione), capire la realtà, andando in profondità, per raggiungere un discreto grado di esperienza e conoscenza. Allo stesso tempo, l’inserimento di uno spazio così inusuale per il mondo del fashion retail la dice lunga sull’esigenza di rendere più stimolante il customer journey all’interno del pdv. Per rispondere alla sua domanda: sì, forse i “templi del lusso” possono risultare ormai noiosi, ma probabilmente il consumatore che li frequenta non cerca nemmeno l’esperienza ludica che potrebbe invece avere acquistando un pigiama di Primark con i vecchi giocatori di una squadra di calcio inglese!
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Condivido a pieno quanto scritto nel commento precedente riguardo l’evoluzione del consumatore, specialmente quello del lusso. I grandi brand, ma soprattutto i retailer, si trovano di fronte uno scenario complesso, perché complesse sono le preferenze ed esigenze del mercato. Tuttavia ritengo non sia una questione di “rendere meno noiosi” i grandi mall del lusso ed abbattere la torre d’avorio in cui sembrano esser chiusi, ma piuttosto un tentativo (a mio parere semplicemente geniale) di offrire un’esperienza a 360 gradi a dei consumatori che desiderano appunto “vivere” l’esperienza d’acquisto più che meramente spendere all’interno dei vari punti vendita. Insomma, un approccio che mira ad accogliere e coinvolgere le persone e rendere lo shopping un processo più completo e coinvolgente, con l’obiettivo di scongiurare la Retail Apocalypse che sembra coinvolgere i centri commerciali come li abbiamo sempre conosciuti. Trovo che questo da Lei citato sia un esempio chiaro di tale approccio e della sua efficacia. Inoltre mi entusiasma l’idea che il piacere di un buon libro sia ancora apprezzato in un mondo sempre più orientato verso il digital.
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Uno dei principali vantaggi dei department store, ovvero quello di poter fare shopping in un negozio fisico, non sembra più essere sufficiente per poter fronteggiare un mondo sempre più dominato dall’E-commerce.
Il negozio brick and mortar difficilmente perderà la sua utilità derivante dall’esperienza in-store, ma per poter incentivare i consumatori a visitare i propri punti vendita sono necessarie delle idee brillanti, con cui stupire ogni volta i propri clienti e allo stesso tempo differenziarsi in un mercato dove la concorrenza è altissima. Scelte uniche come la libreria Tsutaya Books di Ginza Six, o la presenza dell’acquedotto romano alla nuova Rinascente di via del Tritone, possono così trasformare l’atto di acquisto in un’esperienza unica e da condividere; entrambe idee poi premiate infatti dal notevole afflusso di potenziali consumatori. Secondo il mio parere penso che siano proprio questi “punti di interesse” a poter diventare la chiave di volta contro la noiosa ripetitività dei department store e la strategia vincente che li farà sopravvivere nel futuro.
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Dopo aver letto attentamente l’articolo ed i vari commenti mi permetto di dissentire su alcuni aspetti.Per me la risposta alla domanda posta alla fine dell’articolo è no. Condivido in pieno la via del food ma non quella della libreria personalmente. Io stesso sono una persona a cui piace leggere ma l’idea di trovare una libreria in un negozio di lusso un poco mi destabilizza sono sincero. Penso che questo sia troppo decontestualizzante. Personalmente un libro preferisco leggerlo a casa, seduto sul divano con una buona tazza di latte in mano, non di certo in una sala affollata di un departement store ( ma questi possono essere punti di vista soggettivi); il punto a mio avviso è che sia un po’ troppo pretestuosa questa scelta. Il food inoltre lo vedo assolutamente come un momento di ristoro, di conforto dopo una giornata di shopping( che molto spesso si effettua in compagnia) e un momento di convivialità e relax con il proprio partener o con i propri amici dopo aver terminato il giro di acquisti .(di certo non porterei i miei amici o la mia compagna a leggere un buon libro finito di fare compere).
Non è perciò questo un contenuto che secondo me può fare la differenza in un departement store o in un negozio del lusso, ma anzi la vedo come una scelta piuttosto radical chic ad essere sincero.
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Onestamente anche io preferisco leggere un buon libro nella comodità del divano di casa, ma credo qui sia sfuggito un dettaglio che fa la differenza: la libreria infatti non offre solo libri comuni, ma altresì volumi preziosi e originali. Ciò che spinge a visitare quest’area del department store non è tanto il desiderio di godersi una buona lettura, quanto la possibilità di toccare con le proprie mani (seppur attraverso i guanti) libri originali, dal sapore antico, che consentono al lettore di immedesimarsi in un’altra realtà. Ecco quindi che la libreria diviene un must visit anche per coloro che preferiscono leggere da casa, per poter avere l’occasione unica di fare un tuffo nel passato ed esternarsi per un momento dalla velocità e dalla frenesia di questi tempi.
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Io credo che l’idea della libreria possa essere vincente e che sia sicuramente un’iniziativa interessante. Con tutta la tecnologia che ci circonda e sta ormai prendendo il sopravvento nelle nostre vite, tornare a privilegiare e mettere in evidenza l’importanza dei libri è paradossalmente qualcosa di innovativo. Può suscitare maggiore curiosità e voglia di visitare il punto vendita e magari può essere ben sfruttata da tutti quei poveri uomini annoiati che portano le proprie compagne a fare shopping, invece che vederli “parcheggiati” sui classici divanetti, potrebbero leggersi un libro nell’attesa.
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Da appassionata collezionista di libri trovo entusiasmante l’idea di includere nel mall una libreria. Sicuramente è un modo per differenziarsi rispetto ai concorrenti e allo stesso tempo dare un maggior valore all’esperienza di acquisto del consumatore e aumentarne la gratificazione personale. Inoltre, la presenza di libri antichi, preziosi ed originali accanto a quelli comuni è coerente con il posizionamento nel lusso del centro commerciale.
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[…] meravigliosi che offrono un ricco assortimento (uno di questi, sempre a Ginza, lo avevo fotografato qui), proponendo invece in un’unica stanza un solo libro alla settimana, come recita il motto del […]
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