La birra che sto bevendo in questa foto scattata qualche giorno fa in un pub di Bath non è una birra qualsiasi: è la mia 100^  BrewDog. Non nel senso che ho bevuto solo cento pinte di birra del brand scozzese, ma nel senso che ho assaggiato fino ad oggi cento tipi di birra differenti prodotti da questa azienda.

Forse molti non immaginano nemmeno che BrewDog abbia un’offerta così ampia (in realtà lo è molto di più, ma dopo la Brexit non è semplice procurarsi tutte le novità dall’Italia), questa offerta si ricollega però a quello che secondo me è uno dei fattori chiave che hanno consentito a questa azienda nata solo nel 2006 di insediarsi oggi tra i 15 brand del settore di maggior valore al mondo.

La mission aziendale, che si ritrova ancora oggi scritta su molti dei sottobicchieri nei pub, non è infatti quella di diventare leader di mercato o di produrre la birra più buona del mondo, ma di “make other people as passionate about great craft beer as we are”.

Al centro della strategia che ha guidato l’azienda dalla fondazione i ragazzi di Aberdeen hanno quindi messo la passione del cliente, non l’eccellenza del prodotto (per quanto evidentemente un prodotto eccellente sia necessario per alimentare la passione).

I bilanci BrewDog si reggono ovviamente su best seller come la leggendaria Punk IPA e la dissetante Lost Lager, ma questa offerta ridondante (e in un certo senso inefficiente) serve a guidare il consumatore in un percorso di esplorazione e di scoperta della ricchezza e varietà del mondo della birra e nell’alimentarne la curiosità e la passione. In questa strategia si inserisce anche la sfida che ha contribuito a rendere BrewDog famosa tra gli appassionati e anche tra i curiosi: la realizzazione della Tactical Nuclear Penguin (che ha poi ispirato anche il nome della omonima band pop italiana).

Una bella lezione di marketing per tante aziende del Made in Italy che, concentrate sul realizzare prodotti eccezionali, si dimenticano a volte di educare e appassionare il cliente.