Cosa vuol dire Casio? Prodotto economico ma di scarsa qualità destinato a durare poco, o orologio giovane e allegro da tenere sempre con sé?
Uno degli effetti più dirompenti che ha avuto sul marketing la crescente diffusione dei social network è stata la definitiva caduta dell’illusione da parte delle marche di poter esercitare un controllo sui significati che attribuiscono loro i consumatori.
Le conversazioni che avvengono in rete, infatti, arricchiscono e modificano le percezioni dei brand e della loro identità.
Certo, avveniva anche prima, ma il volume di conversazioni era enormemente inferiore e in un certo senso era ancora possibile sovrastarlo con la comunicazione pianificata e diffusa dalle aziende.
Oggi invece le conversazioni coinvolgono velocemente centinaia di milioni di consumatori al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei brand.
Pensiamo a quello che sta succedendo attorno a Casio: in due giorni 90 milioni di persone (parlo solo di chi ha ascoltato il pezzo sul canale YouTube ufficiale, ma il totale è enormemente maggiore perché la canzone è ora ovunque) hanno ascoltato la canzone di Shakira nelle Bizarrap music session nella quale la star colombiana si rivolge in modo nemmeno troppo velato all’ex compagno Piqué rinfacciandogli di aver cambiato un Rolex con un Casio, con riferimento alla nuova fidanzata Clara Chia Marti.
Un Rolex come simbolo di qualità ed eleganza senza tempo contrapposto a un oggetto di bassa qualità.
La risposta di Piqué non si è fatta attendere: “este reloj es para toda la vida”, ha dichiarato regalando un Casio ai partecipanti a una diretta Twitch sulla Kings League, il suo nuovo progetto sportivo.
Non voglio approfondire i termini della vicenda, né soffermarmi sui tweet di risposta del brand giapponese, non tutti di buon gusto secondo me.
Quello che è evidente è che il mestiere di brand manager è cambiato: si può creare un framework di riferimento per tentare di indirizzare le conversazioni sul brand, si può partecipare con la propria voce più o memo autorevole alla discussione, ma non certo sovrastare quel che si dice.
Un mestiere più difficile e affascinante, nel quale saper gestire le campagne pubblicitarie non è certo la competenza principale. Una sfida anche per quelli come me che stanno formando i brand manager di domani.