Cowboy Carter e Levi’s

Levi’s non è un semplice brand, ma è un cultural brand nel significato che gli dà Douglas Holt nel suo bellissimo libro ripubblicato di recente da Luiss University Press, un brand iconico fortemente radicato nel mito del West, della frontiera e del cowboy.

Il problema è che il Far West del cowboy nel corso degli ultimi lustri ha perso progressivamente forza, in parte anche per via del suo legame con una cultura machista poco in linea in particolare con i valori dei consumatori più giovani.

Qui si inserisce l’operazione REIIMAGINE con Beyoncé: Levi’s rilegge una serie di sue pubblicità storiche, ma questa volta la protagonista diventa lei, non solo una donna ben lontana dall’idealtipo della tipica compagna del cowboy, che era abituata a stare in secondo piano, ma anche l’artista che con il suo ultimo lavoro, Cowboy Carter, ha voluto affermare con decisione che una donna nera poteva svolgere un ruolo da protagonista nel mondo tipicamente bianco della musica country.

Con questa campagna, della quale è uscito in questi giorni il terzo episodio, Levi’s si riappropria del suo heritage potente, ma lo ripropone con una chiave di lettura culturalmente attuale.

A questo percorso si è aggiunto ieri un altro importante tassello: l’assemblea degli azionisti ha infatti seguito le indicazioni del Board e ha bocciato con una maggioranza schiacciante la proposta di un gruppo di azionisti conservatori di affossare i programmi aziendali di diversity & inclusion (una proposta che ha ricevuto così appena l’1% dei voti).

È noto che il cambiamento di clima politico degli ultimi mesi ha portato molte aziende, da Harley Davidson al produttore del whisky Jack Daniel’s, da Alphabet a Meta (aziende esplicitamente citate nella proposta degli azionisti Levi Strauss) a ridimensionare o eliminare i programmi di D&I, ma questo non è avvenuto per l’azienda californiana.

Probabilmente nella decisione hanno contato anche valori personali dei singoli, ma visto che molti voti sono espressi da investitori istituzionali, la decisione appare soprattutto come una mossa razionale per difendere il brand da un attacco al suo DNA che ne avrebbe intaccato il valore. Come ha dichiarato in un’intervista a WWD il CEO dell’azienda, infatti, “We’ve been committed to diversity and inclusion for literally decades, and it’s the core to who we are”.

Dalle vendite di Tesla ai dati sul turismo canadese negli USA, tanti segnali indicano che i comportamenti dei consumatori sono sempre più influenzati dalla sfera valoriale. In questo contesto diventa più che mai importante per i manager presidiare con coerenza questa dimensione perché un brand che rivede i suoi valori in funzione delle contingenze politiche finisce per risultare poco credibile e quindi irrilevante.

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