Le scarpe di Bella

C’è una cosa che non riesco a spiegarmi.

Adidas (azienda che stimo e della quale sono anche azionista) decide di dedicare delle scarpe alle Olimpiadi del 1972, quelle delle medaglie di Mark Spitz, ma purtroppo anche della strage causata dall’azione del commando di Settembre Nero.

Tra le celebrity individuate per la promozione della collezione si sceglie Bella Hadid, una modella di padre palestinese che da tempo è impegnata attivamente nel sostegno del movimento per la liberazione della Palestina ed è molto critica nei confronti della politica israeliana. Sostiene le sue posizioni in modo deciso e trasparente, basta buttare un occhio sul suo seguitissimo profilo Instagram per rendersene conto.

A questo punto lo stato israeliano prende una posizione critica verso l’iniziativa bollandola come antisemita e Adidas esclude velocemente Hadid dalla comunicazione scusandosi per l’accaduto e spiegando che eventuali riferimenti impliciti a quanto accaduto nel ’72 erano “completely unintentional”.

Ovviamente ci credo, in Adidas non sarebbero così folli da lanciare intenzionalmente una campagna con riferimenti alle azioni di Settembre Nero, ma la cosa che non capisco è: a nessuno nel marketing Adidas era venuto in mente che, in particolare in un periodo drammatico come questo, la scelta di un’attivista anti israeliana per un prodotto dedicato al 1972 poteva essere vista da qualcuno come una provocazione?

Escludendo l’ipotesi che non fossero chiare le posizioni di Hadid sull’argomento, l’ipotesi alternativa più plausibile mi sembra a questo punto quella che chi ha seguito il progetto di comunicazione non fosse consapevole di quello che è successo a Monaco e del segno che ha lasciato nella memoria collettiva.

Penso che per chi si occupa di comunicazione oggi sia più che mai necessario anche lo studio della storia contemporanea.

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