Ci sono delle date che assumono una valenza simbolica importante in relazione ai processi di cambiamento che segnalano. Per il mondo del lusso credo che una data memorabile resterà lo scorso 1 marzo, giorno in cui Kering ha deciso di acquistare una partecipazione di circa il cinque per cento in Vestiaire Collective, uno dei leader mondiali del second hand.
Perché è così rilevante questo ingresso di Kering in prima persona nel business dell’usato? Perché si tratta di un mercato che in passato è stato sempre guardato con una certa diffidenza dal mondo del lusso dato che va contro ad alcuni dei pilastri della gestione di un brand. Il second hand rende infatti meno saldo il controllo delle aziende su tutte le 4 P del marketing: sulla distribuzione, sul prezzo, sul prodotto (il consumatore sarà infatti libero di scegliere tra Gucci in versione Alessandro Michele e quello in versione Tom Ford) e anche su quella parte rilevante di comunicazione che si basa sulla condivisione di immagini di brand e prodotti realizzata direttamente tra consumatori.
I motivi della scelta di Kering sono intuibili, e del resto li ha spiegati chiaramente Pinault nel comunicato del primo marzo: “Pre-owned luxury is now a real and deeply rooted trend, especially among younger customers. Rather than ignoring it, our wish is to seize this opportunity to enhance the value we offer our customers and influence the future of our industry towards more innovative and more sustainable practices”.
L’impegno diretto di Kering nel second hand, e l’ulteriore prevedibile accelerazione di questo mercato che ne seguirà, comporta delle conseguenze destinate a impattare sulle strategie delle aziende del lusso su almeno due fronti.
Il primo fronte è quello della qualità intrinseca dei prodotti: saranno avvantaggiate le aziende che sono in grado di realizzare prodotti di una elevata durabilità. Il prezzo dei loro prodotti sarà infatti percepito inferiore perché il consumatore si abituerà a valutare anche il prezzo che si attende di realizzare nel momento della rivendita (analogamente a quanto accade già nel mercato dell’automobile). A parità di ogni altra condizione preferisco acquistare una borsa da 5.000 euro rispetto a una da 4.000 se mi aspetto di essere in grado di rivenderle rispettivamente a 3.000 e 1.000 euro.
Il secondo fronte è rappresentato dall’aumento dell’importanza di una forte coerenza nel tempo di tutto quello che le aziende realizzano con il loro nome. Un direttore creativo sbagliato, la licenza a un partner produttivo che non si rivela all’altezza, una collezione snaturata perché troppo sbilanciata sui gusti di un mercato locale … sono tutti errori che sarà sempre più difficile cancellare ripartendo da zero dopo una ripulita agli account social, perché i prodotti che hanno generato continueranno a raccontare i brand sui mercati nel corso degli anni.
È un cambiamento rilevante che, come tutti i cambiamenti, avrà dei vincitori e degli sconfitti.